A sparare sono state due persone armate di fucile caricato a pallettoni. Uno di questi ha raggiunto alla testa Fabio Giuseppe Gioffré, un pregiudicato di 39 anni, uccidendolo sul colpo. Nella sparatoria è stato ferito gravemente un bambino di 10 anni, di nazionalità bulgara, che si trovava in quel momento con Gioffré nel suo terreno in contrada “Venere” di Seminara, nel Reggino: colpito all’addome e ricoverato in prognosi riservata, non sarebbe in pericolo di vita. Gli investigatori, adesso, stanno verificando se il ragazzino, nonostante l’età, lavorasse con la vittima o, semplicemente, era solito accompagnarlo per vedere gli animali che Gioffré custodiva in un casolare.
La dinamica non lascia adito a dubbi. Almeno per quanto riguarda le modalità mafiose dell’agguato: chi ha sparato lo ha fatto per uccidere e poi si è allontanato a piedi nelle campagne circostanti. Teatro, una decina di anni fa, di una sanguinosa faida alla quale hanno partecipato anche le donne, per l’ennesima volta la ‘ndrangheta di Seminara dimostra tutta la sua ferocia.
I killer non si sono fermati nemmeno di fronte a un bambino. Le indagini, condotte dai carabinieri, sono già in mano alla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che, assieme alla Procura di Palmi, sta cercando di capire il contesto in cui è maturato l’omicidio. In queste ore il procuratore Giovanni Bombardieri e il pm Adriana Sciglio stanno verificando se l’attentato sia maturato negli ambienti della ‘ndrangheta di Seminara o se Fabio Giuseppe Gioffré sia stato punito per uno sgarro.
Di certo c’è che la vittima è imparentata con i boss omonimi conosciuti con il soprannome di “‘Ndolu”. Se questi ultimi sono, da sempre, il ramo nobile della cosca, Fabio Giuseppe Gioffré, può essere considerato un cane sciolto. Per dirla con le parole ascoltate in un’intercettazione di qualche anno fa era un “bastardo che non guarda in faccia nessuno”. Suo padre (oggi deceduto) non era un boss ma, per i magistrati, Vincenzo Giuseppe Gioffré, detto “Siberia”, era comunque uno che contava negli ambienti criminali della zona. “Il passato di Cecé ‘Siberia’ – scrivono gli investigatori – è possente”. E questo nonostante il fatto che “il rapporto tra il ramo dei Siberia ed il ramo degli ‘Ndolu abbia registrato momenti difficili e delicati dovuti talvolta ai comportamenti dei figli del Siberia, Rocco e Fabio (la vittima appunto, nda), non graditi ai Gioffrè perché non consoni al “prestigio” del “razzu” (i componenti della cosca, nda)”.
Qualche anno fa “Siberia” è stato coinvolto nell’inchiesta “Artemisia”. Condannato in primo grado e anche in appello, però, è morto prima della sentenza di Cassazione. Già negli atti di quell’indagine, all’epoca coordinata dal sostituto procuratore della Dda Roberto Di Palma, venivano registrate numerose frizioni tra gli “‘Ndolu” e i figli di Siberia tra cui proprio Fabio Giuseppe accusato dagli affiliati della cosca di azioni che non rientrano nella logica della ‘ndrangheta e che, in un certo senso, mettevano la famiglia in imbarazzo.
Pur essendo datate, sono sempre le intercettazioni contenute nel fascicolo di “Artemisia” a fornire un profilo chiaro della vittima che da tempo viveva a Cinquefrondi e che, nel giugno 2007, aveva commesso un furto non autorizzato irritando non poco il boss Nino Gioffré detto “Nino Bongo”. Nonostante fossero parenti, quest’ultimo disse del nipote: “Se ne deve andare lo dobbiamo sparare se viene per Seminara… lo dobbiamo sparare parola d’onore… ma quale sangue mio? Ad uno sbirro di questo… e ci minu eu ci minu personalmente eu i scupittati (gli sparo io, gli sparo personalmente io le fucilate, nda)”.
A mettere una pezza alle intemperanze del figlio, finché è vissuto, ci ha pensato “Siberia”. Ma ora lui è morto e pur essendo trascorsi 11 anni da quelle intercettazioni, Fabio Giuseppe Gioffré non si è mai allontanato dall’ambiente criminale di Seminara. Appena cinque mesi fa, infatti, i carabinieri lo avevano arrestato perché in un suo casolare, avevano scoperto una “santabarbara”, un arsenale composto da sette fucili di cui due con matricola abrasa e uno alterato mediante il taglio del calcio e della canna. Una tecnica, questa, che serviva a fare aumentare la potenzialità offensiva del fucile e, allo stesso tempo, facilitarne l’occultamento. Le armi erano state rubate nel Nord Italia e Gioffré le aveva nascoste sotto le reti per la raccolta delle olive, al fine di renderne difficile il ritrovamento.
Arrestato a febbraio, il figlio di “Siberia” era già libero e si recava tranquillamente nel suo terreno in contrada Venere. Anche stamattina si trovava lì. Quando i killer hanno iniziato a sparare, il bambino bulgaro di 10 anni lo stava accompagnando in un casolare dove avrebbe dovuto accudire gli animali. I sicari hanno sparato lo stesso. “Stiamo lavorando. – è l’unico commento del procuratore Giovanni Bombardieri a Ilfattoquotidiano.it – La collega di turno è in contatto con la Procura di Palmi e sta acquisendo tutte le informazioni dai carabinieri. Stiamo verificando le condizioni di questo bambino. La vittima è un soggetto riferibile alla cosca. Il ferimento di una persona innocente è un fatto gravissimo. Siamo intervenuti immediatamente per un omicidio che rientra nella competenza della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria”.