Il decreto Dignità sembrava finora il primo test di tenuta della maggioranza, con la Lega che ha promesso modifiche dopo aver sentito le sirene del suo pezzo di elettorato composto dai datori di lavoro e dall’altra il ministro Luigi Di Maio che ha avvertito che va bene migliorare, ma senza snaturare il testo. E invece – proprio ora che la sterminata campagna elettorale diventa finalmente in un confronto nel merito – a mostrare qualche affanno è il Partito Democratico, il principale partito di opposizione. Ad accendere la miccia, alla vigilia dell’inizio della discussione nelle commissioni Finanze e Lavoro, è un emendamento presentato da un gruppo di deputati – guidato dall’ex vicesegretaria Debora Serracchiani – che intende sopprimere l’articolo del decreto Dignità che aumenta le mensilità degli indennizzi a favore dei lavoratori che vengono licenziati ingiustamente. Una proposta di modifica contro la quale si schiera Di Maio con un post su facebook (“come si può essere contrari a una norma che dà un giusto indennizzo ai lavoratori che subiscono degli abusi?”).

Damiano: “Dal Pd scelta grave”
Ma fin qui appare perfino logico. In realtà Di Maio l’ha scoperto probabilmente dopo che a protestare era stato Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro nel governo Prodi II, molto attivo contro le forme di precariato, ex sindacalista della Cgil e un tempo componente della corrente interna di Maurizio Martina, Sinistra è cambiamento (nell’ultimo congresso invece ha sostenuto Andrea Orlando). Damiano, non rieletto, si dice “totalmente contrario” all’emendamento, perché “costituisce una scelta molto grave”. “Non mi sento rappresentato” dice Damiano. Anche perché, come dice l’ex ministro, la proposta del governo è “la fotocopia di quella approvata dalla commissione Lavoro della Camera nella scorsa legislatura, Pd compreso, prevede di portare le mensilità minime di risarcimento da 4 a 6, e quelle massime da 24 a 36, in relazione alla anzianità aziendale“. Scelta del governo sulla quale Damiano è “totalmente d’accordo“, se non altro per essere d’accordo con se stesso che di quella commissione Lavoro era il presidente.

“Coordinate di Renzi che ci hanno portato alla sconfitta”
Il ragionamento da tecnico si fa politico, per Damiano: “Il populismo lo possiamo combattere se stiamo in sintonia con il nostro popolo che chiede di essere tutelato nel lavoro e nella società. La scelta compiuta dai parlamentari del Pd va esattamente nella direzione opposta. Io non ci sto”. L’ex ministro sottolinea che “il fatto che i parlamentari del Pd della commissione Lavoro si schierino compattamente contro significa che siamo ancora all’interno delle coordinate dettate da Renzi per quanto riguarda il lavoro e lo stato sociale, quelle che ci hanno portato a gravi sconfitte: una difesa incondizionata del Jobs Act, anche per la parte che ha reso più facili e meno costosi i licenziamenti, sopprimendo di fatto l’articolo 18; un pieno sostegno alla legge Fornero che, invece, il Pd dovrebbe cercare di superare definitivamente, come abbiamo cominciato a fare nella passata legislatura. Scelte così impegnative e identitarie andrebbero preventivamente discusse. Martina è al corrente di questa decisione e, soprattutto, la condivide?“.

E’ significativo che contro l’emendamento si schieri anche uno che è stato il più leale sostenitore della corrente renziana, Stefano Esposito, che su twitter chiede conto a Martina dell’iniziativa dei deputati Pd (senza ricevere risposta), mentre su facebook commenta così un post di Daniele Cinà, esperto di comunicazione, simpatizzante del Pd e blogger del fatto.it: “Hanno fatto una cazzata lo dicano e l’emendamento venga ritirato”.

Martina: “Da Di Maio propaganda”
Ma a questa domanda non ha risposto nessuno. Il segretario Martina su twitter ha parlato d’altro, rilanciando con un altro emendamento che riguarda l’offerta di conciliazione, regolato da un diverso articolo del decreto legislativo 23 del 2015 che questo testo di Di Maio modifica.

I firmatari dell’emendamento
A firmare l’emendamento sugli indennizzi ai licenziati sono soprattutto renziani: Debora Serracchiani, che è stata vicesegretaria per anni, Stefano Lepri, l’ex Sel padovano Alessandro Zan, il pugliese Marco Lacarra, la sarda Romina Mura, il calabrese Antonio Viscomi. Ma tra i firmatari ci sono anche Carla Cantone, che è stata una candidata-simbolo dell’ultima campagna elettorale con Renzi segretario per la sua passata e lunghissima esperienza come leader dello Spi-Cgil, il sindacato pensionati. E c’è soprattutto Chiara Gribaudo, piemontese, che ha la delega al lavoro nella nuova segreteria composta da Martina pochi giorni fa e che ieri al Foglio aveva spiegato, parlando del Jobs Act, che “tutte le riforme sono migliorabili ma ci sono anche elementi su cui sci vorrebbe maggior oggettività e meno speculazione pseudo-ideologica”. Tuttavia per il momento neanche i firmatari rispondono né a Damiano e men che meno a Di Maio.

Nannicini: “Bufale. Perché Di Maio non reintroduce l’articolo 18?”
Lo fa Tommaso Nannicini, ex consigliere economico di Renzi a Palazzo Chigi, che però non entra nel merito dell’emendamento e invita a guardare l’insieme degli emendamenti dei democratici. “Di Maio mente sapendo di mentire” scrive su facebook il senatore. “Purtroppo – aggiunge – smentire questa bufala richiede un ragionamento, anzi due. E in politica i ragionamenti non servono. Me ne scuso. Ma non so che altro fare (suggerimenti concreti in tal senso sono benvenuti)”. Nannicini spiega che “il succo è semplice: se Di Maio pensa che ci troviamo di fronte ad ‘abusi’ contro i lavoratori, abolisca il contratto a tutele crescenti e reintroduca l’articolo 18 per tutti, anche per chi lavora in imprese con meno di 15 dipendenti. Cosa che il suo decreto disoccupazione si guarda bene dal fare. Se invece non vuole stravolgere il suo decreto, che lascia immutate le tutele crescenti, legga con attenzione gli emendamenti del Pd. Perché hanno proprio l’obiettivo di estendere le tutele e le opportunità dei lavoratori all’interno dell’impianto esistente”.

L’emendamento che segue l’orientamento di Confindustria
E in effetti l’emendamento “incriminato” ha una sua stella polare perché nei giorni scorsi a criticare l’aumento degli indennizzi era stata Confindustria. Prima con il direttore generale Marcella Panucci sotto il profilo tecnico: aveva spiegato in poche parole che il raddoppio dell’indennità ai licenziati ingiustamente “rischia di scoraggiare le assunzioni a tempo indeterminato”. E poi a livello politico aveva ribadito il concetto il vicepresidente dell’associazione degli industriali, Maurizio Stirpe, che al Sole24Ore aveva ripetuto che “l’aumento del costo degli indennizzi sui licenziamenti può scoraggiare la stipula dei contratti a tempo indeterminato. Si va nella direzione opposta rispetto alle intenzioni del governo”. E infatti i Cinquestelle in commissione Lavoro, in una nota, commentano che questa storia è “la prova provata di un partito completamente scollato dalla realtà che al bene dei cittadini antepone quello dei padroni e delle lobby”.

Di sicuro il Pd intraprende il percorso inverso a quello indicato dalla Cgil che definisce “poco coraggioso l’intervento sui licenziamenti ingiustificati che riprende una vecchia proposta di innalzamento delle indennità senza tuttavia prendere provvedimenti nè sul ripristino della reintegra, nè sull’impianto più generale delle norme contenute nel decreto sulle tutele crescenti”.

Le opposizioni presentano 900 emendamenti
La discussione sul decreto Dignità nelle commissioni Finanze e Lavoro della Camera – riunite – inizierà nel pomeriggio di lunedì. Gli emendamenti delle opposizioni sono circa 900 e domani è in programma la prima scrematura dell’ammissibilità, da martedì si passerà alle votazioni. Le proposte di modifica vanno dalle categorie da escludere dalla stretta sui contratti a termine a partire da colf e badanti, presentati da tutti i partiti, alla reintroduzione dell’articolo 18 proposta da Liberi e Uguali.

Se hanno la quasi certezza di passare, al netto di problemi di coperture, tutte le proposte condivise da Lega e M5s, molto più difficile che trovino spazio le richieste delle opposizioni. Escludere le famiglie dai rincari dei contratti a termine che al momento comprendono anche il lavoro domestico, è una delle proposte che ha più chance. Ma c’è chi chiede di esentare tout court dalla stretta anche chi assume i laureati, gli stagionali, le start up o le attività di ricerca in istituti privati. I Fratelli d’Italia sfidano invece il governo sulle promesse del contratto, chiedendo tra l’altro quota 41 sulle pensioni e un primo assaggio di flat tax sui redditi incrementali.

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