Venticinque anni fa moriva Raul Gardini. Archiviata come suicidio, la sua morte sancì la fine di un’epoca. Era il 23 luglio 1993, quella mattina avrebbe dovuto testimoniare a Di Pietro e al pool di Mani Pulite sul più grave scandalo di corruzione mai avvenuto in Italia: “la madre di tutte le tangenti”, al centro di Tangentopoli. Ma a quell’incontro Gardini non arrivò mai. Quando la polizia arrivò sul luogo della sua morte non c’era più niente. Il corpo era scomparso, anche le lenzuola del letto. Rimaneva solo un materasso intriso di sangue, e una pistola, posata sul comodino da cui mancavano due proiettili. La pistola era stata caricata con un colpo in meno, o forse la cartuccia era stata tolta per qualche motivo? Raul Gardini forse era rimasto sconvolto quella mattina dal trovare pubblicati sui giornali i verbali delle confessioni di Garofano che sarebbero dovuti rimanere segreti. Forse Gardini pensò di essere stato tradito e che il patto di un arresto soft fosse saltato. Fu per questo che decise di farla finita? È vero, come sostengono alcuni suoi stretti collaboratori, che avesse ricevuto telefonate minatorie?
Chi si suicida con due colpi? Pensarono in molti. Chi guadagnò qualcosa da quella morte? Da quel silenzio? Molte persone. Troppe.
Facciamo un passo indietro. Nel luglio 1993 da poco più di tre anni era caduto il muro di Berlino, il comunismo aveva cessato di esistere come orizzonte politico. L’Italia era stata il paese del blocco occidentale in cui il partito comunista era più forte, e aveva addirittura rischiato di finire al governo. Ma ormai il “pericolo rosso” non faceva più paura, nemmeno a Washington. I sistemi di “protezione dal comunismo” si allentarono, e questo favorì il nascere dell’inchiesta Mani Pulite, e gli permise di manifestarsi con tutta la sua forza devastante.
In pochi mesi Tangentopoli fece scomparire il sistema politico che aveva governato l’Italia dalla fine della Seconda guerra mondiale fino a quel momento. La Democrazia cristiana implose, il primo presidente socialista, Bettino Craxi, fu costretto a fuggire e nascondersi in Tunisia. I sistemi di potere economico e massonico, allarmati da quel sisma, si misero a lavorare nell’ombra per non perdere terreno. La mafia intanto metteva le bombe, uccideva e terrorizzava, perché aveva paura di rimanere senza più appoggi nello Stato. Il legame tra gruppo Ferruzzi e Cosa nostra è emerso recentemente anche nelle motivazioni della sentenza sulla Trattativa Stato-Mafia. In mezzo a tutto questo c’era un uomo, uno dei più potenti e ricchi imprenditori del paese: Raul Gardini, che rimase stritolato in questo terribile gioco di potere. Morì improvvisamente, il “Re di Ravenna”, il cui impero andava dagli USA alla Russia passando per il Sud America, e con sé portò molti misteri che rimarranno per sempre senza nome e senza volto.
Partendo da questa vicenda ho scritto “Icarus. Ascesa e caduta di Raul Gardini”, appena pubblicato da minimum fax. Credo che, dopo 25 anni, sia giunto il momento di raccontare questa storia da un altro punto di vista.
Eccone un piccolo estratto.
«Ci sono mille modi di raccontare una storia. Soprattutto una storia che ha contorni sfocati e molti punti poco chiari. Una storia torbida in cui colpevoli e vittime hanno la stessa faccia. Chi racconta una storia decide i ruoli e assegna le parti. Ho sentito parlare della vicenda di Gardini da decine di persone, e ognuno raccontava una storia completamente diversa. Colpevole o vittima? Inebriato dal potere o incastrato da un complotto? Visionario o pazzo? Sognatore o assetato di denaro? A Ravenna tutto è un mosaico, ma a differenza di quelli bizantini, che visti da lontano tratteggiano volti di imperatori e santi, questo mosaico è molto più ambiguo. Ci sono dentro sia imperatori che santi, ma è difficile, quasi impossibile, identificarli.
A Sant’Apollinare Nuovo, la basilica di culto ariano fatta costruire tra il V e il VI secolo da Teodorico, re degli Ostrogoti, è rappresentato il palazzo di Teodorico con la sua corte. Quando nel 540, dopo la morte di Teodorico, i bizantini riconquistarono Ravenna, non distrussero la chiesa, troppo bella per essere data alle fiamme, ma la convertirono al culto cattolico. Cancellarono dalla città tutti i segni dei precedenti dominatori. Tolsero Teodorico e i suoi uomini dal mosaico, tessera dopo tessera, sostituendoli con tasselli neri. Però l’operazione fu fatta in velocità, in maniera grossolana. Così, ancora oggi, se si guarda bene tra le colonne di quel palazzo deserto, si possono vedere spuntare una mano, un braccio, un’ombra. È ciò che rimane di quello che era e che si è voluto dimenticare. Senza però riuscirci completamente».