È solo uno scherzo. Se al bullismo avete fino ad ora dedicato l’attenzione da pagina di cronaca del quotidiano di provincia, il saggio Educati alla violenza (Imprimatur), scritto da Antonio Murzio, vi scoperchierà un microcosmo adolescenziale terribile, intriso di un naturale, sotterraneo, violento sadismo, privo di tutele e difese da parte delle istituzioni (in primis la scuola). Ma attenzione: il lavoro di Murzio non è solo legato al bullismo, e alla variante del cyberbullismo, ma possiede un ampio sguardo d’analisi sulla distanza tra i fenomeni più “normali” di devianza sociale e quelli più propriamente criminali nel mondo degli under 18. Educati alla violenza è così un abbandonarsi graduale e preciso, da un polo all’altro del volume, un po’ come nella scala Kinsey sugli orientamenti sessuali degli esseri umani, sui reati criminali commessi dai minorenni. Da un lato, quindi il bullismo, dall’altro le dinamiche fenomeniche che legano i minorenni alle organizzazioni criminali come camorra e ‘ndrangheta. Inutile negarlo, c’è un filo rosso, una sorta di sotterranea ammissione di colpa dell’autore che non vogliamo svelarvi (nulla di che, ma potrebbe accumunare moltissimi inconsapevoli lettori), struttura però portante e significante dell’intero percorso d’analisi.
Dicevamo del bullismo. Murzio lo spiega da puro cronista riportando immediatamente le storie di giovani vittime delle immotivate angherie altrui. La lettera di Arturo, un giovane morto suicida nel 2001 distrugge in poche righe l’anima del lettore. La vittima che chiede scusa, la vittima che urla la sua disperazione, la vittima che si fa piccola oltremodo e si chiede perché nessuno l’ha osservata nel suo nascosto dolore, sembra scontrarsi con quel muro di sottovalutazione che spesso accompagna episodi del genere. E dopo Arturo ci sono Aurora, Andrea, Giovanni, Beatrice. Ogni capitoletto una storia di quotidianità scolastica impossibile da vivere dove “alla fine nessuno vede, nessuno sente, nessuno si espone”. Già perché a leggere di questi devastanti episodi di bullismo emergono due considerazioni fattuali: il sistema scuola, da Nord a Sud Italia, dalle grandi città ai piccoli paesi, non è in grado di comprendere e agire per salvaguardare i ragazzini più deboli. Secondo: il bullismo “indiretto”, quello di chi assiste, osserva e non fa nulla, è fondamentale per la “riuscita” dei cinici e violenti atti compiuti dai bulli. Murzio comunque lo specifica: il giornalista deve raccontare i fatti, alle considerazioni, ai commenti pensano gli esperti. Ecco allora i fatti, anzi i dati, fonte Osservatorio Nazionale adolescenza per il 2017: su un campione di ottomila ragazzi, nella fascia tra i 14 e i 18 anni, il 28% è stato vittima di bullismo tradizionale e l’8,5 per cento di cyberbullismo. Nella fascia tra gli 11 e i 13 anni i numeri sono più alti: il 30% dei preadolescenti, infatti, è stato vittima di bullismo tradizionale e il 10% di cyberbullismo. O ancora il 74% dei ragazzini tra i 14 e i 19 anni che subisce questi episodi di violenza non lo racconta in famiglia e l’87% non lo dice agli insegnanti; il 59% ha pensato al suicidio e l’82% si sente triste e depresso. Chiaro che il fenomeno del cyberbullismo ha ulteriormente complicato la questione. “Ci può essere una sistematica azione persecutoria che toglie il respiro alle vittime, si può essere sempre potenziali bersagli, sia di giorno che di notte, nella chat, nei social, in tutti i luoghi di aggregazione online”, spiega la psicoterapeuta Maura Manca, presidente dell’Osservatorio nazionale adolescenza. “Le proporzioni che può raggiungere il cyberbullismo sono allarmanti, in pochissimo tempo si può rischiare di essere esposti in una vetrina di migliaia di utenti che commentano e condividono andando a comportarsi alla stregua dei cyberbulli”.
Murzio si allontana poi dalla tragica anche se ristretta area del bullismo, spaziando all’intera gamma di comportamenti criminali che coinvolge da protagonisti i minori come il fenomeno delle baby gang e poi quello differente del “branco” addirittura in chiave storica andando a pescare i primi episodi negli anni ottanta quando i “responsabili” di atti devianti erano gli hippies e i teddyboys. Anche in questo campo criminale non c’è distinzione geografica o culturale. Da Napoli a Milano il rapido nascere e affermarsi di gesti come il knockout (dare un pugno ad una persona a caso che passa in strada), o quello di una gang di latinos nel milanese che mozzò con un’accetta il braccio di un capotreno milanese reo di aver chiesto loro il biglietto, sembra una norma diffusa finendo nei rapporti piuttosto allarmanti del Ministero della Giustizia: “Nel 2016 sono stati più di 18 mila i ragazzi condannati per vari reati che sono stati presi in carico dai servizi sociali italiani: 13.400 sono italiani (74,72 per cento del totale). I restanti 4.600 sono stranieri. I primi reati vengono commessi tra i 16 e i 17 anni. (…) Dopo gli italiani il gruppo più numeroso di minori in carico ai servizi sociali è quello dei romeni: 939. I marocchini sono più di 700, mentre gli albanesi sono 508. Brasiliani ed ecuadoregni sono invece 318, di cui 277 maschi e 41 femmine”. Inoltre tra i delitti commessi da minorenni (44.462) circa la metà sono contro il patrimonio 22.300, mentre i reati contro la persona sono circa 12.300. “Dire che esiste un allarme criminalità minorile in Italia, basandosi sui numeri, forse è esagerato. Ma le statistiche riguardano solo il fenomeno che emerge, perché molti reati rimangono impuniti, per cui non vengono computati”, aggiunge l’autore.
La terza e ultima parte, infine, quella dove Murzio descrive, avvalendosi delle testimonianze di magistrati inquirenti e direttori di carceri minorili, il legame tra mafia e minori è forse quella più antropologicamente imponente e intrigante. Intanto sono due i macrogruppi descritti nel libro: i minori e la camorra, e i minori e l’ ‘ndrangheta. E mentre per i primi si mostrano le similitudini con i ragazzi soldato del Sudamerica o del Sudafrica, ragazzi usati anche per compiere omicidi, “intrisi di una specifica cultura della sopraffazione, dell’arroganza (…) che vedono un modello nella camorra di quartiere”; per i secondi si parla di “eredità familiare”, di un rapporto più intimo, secolare, chiuso, che secondo il professor Lo Verso, docente di psicologia clinica presso l’Università di Palermo, citato nel libro, si combatte solo “cambiando la mentalità”. “Fate conto che questo sia un monolite di marmo. Se non si creano fratture in quel mondo lì, li puoi arrestare quanto vuoi; andare in carcere è un onore – spiega Lo Verso – Occorre creare delle fratture. A proposito dei figli, allontanarli significa creare una frattura. Sarà brutto, però in questo modo si tolgono dall’orrore”. Insomma Educati alla violenza non è solo un saggio di analisi e ricerca di un fenomeno sociale, ma anche la possibilità di uscita, di passi in avanti concreti verso una soluzione pratica. Non a caso l’ultimo capitolo è dedicato al bullismo come reato (“Non c’è una legge specifica per il bullismo in Italia. Però diverse norme di legge nel codice civile, penale e nella Costituzione puniscono i comportamenti dei bulli”); mentre rimane forte il legame sottile e sotteso nel testo che lega il senso di sorpresa e di sdegno di fronte al comportamento violento e sadico di minori su minori più “deboli” sia che si tratti di bullismo, sia che si tratti di adolescenti che agiscono per conto della criminalità organizzata. Qui il Murzio cronista che nel novembre 2012, caposervizio della cronaca di ‘Calabria Ora’, assiste di persona all’uscita dalla questura del boss Ettore Lanzino appena arrestato registra questo appunto: “A pochi metri da me una ragazzina – avrà avuto sì e no quattordici anni – gridò al suo indirizzo: ‘Papà, sei un eroe!’ Era una delle figlie del boss e quel suo grido di ammirazione per il padre continua ancora oggi spesso a rimbombarmi nella testa (…) È un episodio che, leggendo poi le carte delle Commissione parlamentare antimafia su minori e ’ndrangheta, sono riuscito finalmente a capire. Così come non mi spiego, al di là delle motivazioni psicologiche che le sottendono, le violenze che i bulli esercitano sulle loro vittime”.