Donne

Femen in lutto, il suicidio di Oksana è una denuncia

Oksana Shachko, una delle donne di maggior valore del nostro tempo. Una delle più grandi lottatrici, una che si è duramente impegnata contro le ingiustizie che ha dovuto affrontare, le ingiustizie della nostra società. Si è battuta per se stessa e per tutte le donne del mondo. Siamo state insieme in piazza Indipendenza a Kiev, sventolando bandiere nel cielo e gridando slogan nel silenzio; siamo sopravvissute nella foresta bielorussa insieme, dopo essere state torturate; e abbiamo marciato per le strade di Parigi, formando nuovi gruppi di attiviste. Oksana è sempre rimasta una vera combattente. Oksana ci ha lasciate ma lei è qui, ed è ovunque. E’ in ognuna di noi che si è tenuta al suo fianco, è nelle Femen, che ha contribuito a fondare; è nelle sue tele, attraverso cui quali ha manifestato il suo talento artistico. E’ nella storia del femminismo.

Così scrive sul suo profilo Facebook l’amica e compagna di attivismo Inna Shevchenko, in un addolorato post di commiato. Sembra che si tratti di suicidio: la giovane Femen, 31 anni compiuti il 31 gennaio scorso, avrebbe lasciato un biglietto nella sua casa di Parigi con su scritto You are all fake (Siete tutti falsi). Sembra che avesse già tentato anni fa di togliersi la vita. Fin qui la triste cronaca.

Ogni volta che una vita, specialmente una vita giovane, si spezza in questo modo il dolore è immenso e le parole vacillano. La reazione talvolta è quella di incolpare, in modo postumo, chi mette fine in modo violento alla propria esistenza, perché questa sarebbe la dimostrazione di non essere in grado di affrontare le difficoltà.

Eppure a leggere la parola fine, il regalo testamentario di Roberta Tatafiore, l’impressione è che quando il suicidio è una scelta meditata non sia la fragilità ad animare chi si uccide, ma una grande forza di volontà, una manifestazione ultimativa di autodeterminazione, una denuncia, quella finale, che si aggiunge alla propria vita di testimonianza e di rifiuto dell’indifferenza.

Insopportabile deve apparire spesso la realtà, specialmente a chi dedica grande parte del suo quotidiano a lottare per cambiare il mondo in meglio. Rendere più inclusiva e meno ingiusta la vita sul pianeta è un intento formidabile, ma anche un impegno a tratti pesantissimo quando l’umanità mostra i suoi volti più violenti: la crudeltà della banalità del male oggi ha anche i canali social dove mostrarsi e proliferare, eccome se prolifera.

Se uomini e donne di epoche precedenti alla rete hanno deciso di uccidersi, (penso ad Alex Langer così come a Sylvia Plath passando per Diane Arbus e Mario Monicelli), credo che meriti rispetto e cura della loro memoria un gesto così estremo e irreversibile, che non può ridurre la ricchezza della loro testimonianza solo a questa decisione finale. Vedere troppo quando la tendenza è non vedere nulla pur essendo sommersi dalle immagini; avere consapevolezza del male che ci circonda e provare a lottare contro l’ingiustizia umana, spesso in solitudine o comunque nell’indifferenza generale può diventare un peso troppo grande da tenere sulle spalle.

In particolare, per una giovane artista, come Oksana era, lei che aveva scelto di denunciare con altre giovani la violenza globale sulle donne usando il corpo come manifesto politico, lei che nelle sue tele celebrava la sessualità femminile e il corpo con struggente poesia.

In questa intervista alla Secular Conference del 2014 Inna Shevchenko, una delle amiche più strette d Oksana, spiegava la pratica politica di Femen.

A chi obiettasse le solite banalità circa le “tette al vento” ricordo che, in una società dove per vendere qualsiasi merce si usano pezzi di corpo di femmine, se una giovane donna si spoglia contro la mercificazione, la violenza e la mattanza del femminicidio questo gesto assume una forza politica che denuda ogni ipocrita alzata di spalle e ogni battuta scontata. Forse per Oksana il mondo era diventato un luogo insopportabile, e l’abbiamo perduta. La piangiamo, ma la sua vita sarà ricordata da chi, insieme alle altre Femen, resta qui e non smette di alzare cartelli e gridare lo sdegno verso il patriarcato e contro l’indifferenza.