Fino a pochi mesi fa il demografo, ordinario alla Bicocca di Milano, parlava di emigrazione circolare: far arrivare gli immigrati e formarli per farli tornare a portare sviluppo nei loro Paesi. Oggi, in pole per la guida dell'Istituto nazionale di statistica, spiega in un'intervista a La Stampa che bisogna espellerli perché "qui non ci stanno". La conversione sulla via di Pontida dopo l'assemblea programmatica del Carroccio
Fino a qualche mese fa l’invasione non esisteva e la sua soluzione era l’emigrazione circolare: farli arrivare e formarli per farli tornare a portare sviluppo nei loro Paesi. Oggi, in un’intervista a La Stampa, spiega che bisogna espellerli perché “qui non ci stanno“. Sui migranti che arrivano dal Mediterraneo Gian Carlo Blangiardo, ordinario di demografia alla Bicocca di Milano e candidato in quota Lega alla guida dell’Istat, ha cambiato idea.
Matteo Salvini lo vuole in chiave anti-Boeri, per la sua opposizione al presidente dell’Inps secondo cui gli immigrati sono indispensabili per mantenere in ordine i conti delle pensioni grazie ai contributi che versano: “Bisogna far lavorare di più giovani e donne”, ha sempre detto l’autorevole demografo. Il quale, prima di entrare nell’orbita della Lega, sulla gestione dei flussi migratori diceva cose diverse. In alcuni casi diametralmente opposte. Qualche esempio. Se non passa giorno che il segretario della Lega non lanci l’allarme (“E a sinistra qualcuno continua a dire che non esiste alcun problema invasione…”, twittava solo l’8 giugno), Blangiardo ha sempre rifiutato il concetto: “Non possiamo parlare di invasione perché la densità è simile a quella di altri Paesi europei”, precisava solo il 5 dicembre 2017.
Oggi, però, con la possibilità di sedere sulla poltrona di presidente dell’Istituto nazionale di statistica a un passo (“E’ molto probabile che mi debba trasferire a Roma”, rivela a La Stampa), il prof cambia tono: “Non ho paura di parlare di espulsioni e porte chiuse. Qui non ci stanno, è un dato di fatto”, dice al quotidiano di Torino. Stop ai flussi, quindi. Ovvero la posizione di quello che è diventato negli ultimi mesi il suo leader politico di riferimento. Eppure nel 2015 Blangiardo respingeva i toni populistici con cui parte della classe dirigente affrontava l’argomento: “E’ oggettivamente una situazione di emergenza – spiegava il professore in un’intervista del 4 settembre a IlFattoQuotidiano.it – ma la causa non è il crescente numero degli immigrati, bensì la mancanza di preparazione e programmazione dei Paesi dell’Unione Europea”. Italia compresa.
Oggi, invece, per il professore bisogna bloccare i flussi e per farlo occorre spiegare nei Paesi d’origine che l’Europa non è un paradiso. “Difficile convincere chi scappa dalla miseria a non provarci”, puntualizza il giornalista de La Stampa. “Basta informarli – risponde Blangiardo – Bisogna togliere a tanti poveri disgraziati l’idea che la soluzione dei loro problemi sia indebitarsi per infilarsi su una barca o attraversare il deserto rischiando la vita. Devono sapere che dopo tanti sacrifici rischiano di trovarsi di nuovo alla casella di partenza”.
Quanto è lontano il settembre 2015, quando l’approccio del prof era assai più articolato: “Adesso qualcuno parla di invasione da parte di qualche centinaio di migliaia di immigrati all’anno – spiegava a IlFattoQuotidiano.it – Se non si pensa a programmare in base alle previsioni per i prossimi anni, la situazione sarà molto più complicata. Non sono le guerre ad alimentare i grandi numeri, ma la povertà e la fame, le cosiddette migrazioni economiche. (…) Nei prossimi 20 anni, la Nigeria avrà 40 milioni di persone in più di oggi in età da lavoro, mentre l’Etiopia 25 milioni. Non parlo di calcoli ipotetici, questi sono i bambini che oggi hanno 10 anni e tra 20 saranno trentenni. Chi darà loro lavoro, cibo, acqua e assistenza?”.
L’11 maggio 2017, ancora a IlFattoQuotidiano.it, Blangiardo forniva una soluzione: “Dovremmo favorire un’emigrazione circolare: accoglierli con l’obiettivo di dare loro basi conoscitive ed economiche da reinvestire nei Paesi di provenienza. Se non lo facciamo, Stati come il Congo, la Nigeria o l’Etiopia rischiano di esplodere”. Lo stesso concetto espresso qualche mese prima, nel settembre 2016, in un’intervista rilasciata al cattolico Tempi: “Non si tratta di alzare muri, ma di organizzare una mobilità circolare, grazie alla quale gli africani che vengono in Europa si formano, creano reti, accumulano capitale e poi tornano nei paesi d’origine e lì investono i capitali e fanno fruttare le reti di relazioni che hanno creato”. Altro che “espulsioni e porte chiuse”.
Anche perché, spiegava ancora al nostro sito solo il 12 agosto 2017, tentare di fermare i flussi migratori è inutile: “Se da una parte i governi europei cercano di arginare il fenomeno migratorio – argomentava – anche dall’altra parte, quella dei trafficanti, si studia ogni modo per aggirare i blocchi. Le notizie che arrivano da Ceuta e dalle coste spagnole lo confermano. D’altra parte, quando si parla di migrazione vale sempre lo stesso esempio: se si prova a tappare con le mani l’acqua di un fiume, questa troverà nuovi spiragli per passare”.
Poi cosa è cambiato? Perché il prof ha cambiato idea? La cronaca dice che qualche settimana prima di quell’intervista, domenica 16 luglio 2017, Blangiardo era in un hotel a 4 stelle di Piacenza all’assemblea programmatica della Lega convocata da Salvini: “Scientificamente abbiamo scelto di non parlare di immigrazione, perché anche i pali sanno come la pensa la Lega sull’immigrazione”, spiegava il leader quel giorno. Blangiardo parlò di crisi demografica. L’inizio della conversione sulla via di Pontida.