Il mito racconta che gli Inca credevano di essere i discendenti di un valoroso eroe chiamato Inkari, che emerse dalle acque del lato Titicaca, fondò Cuzco e infine si ritirò a Paititi, una città nel cuore della foresta. Questa leggenda ha affascinato per secoli avventurieri e cercatori di tesori. Tra questi dobbiamo annoverare il Colonnello Percy Fawcett, personaggio diventato famosissimo anche grazie al recente film “Civiltà perduta”, basato sulla sua vita e i resoconti delle missioni compiute in Sud America
Tra i grandi enigmi della Storia c’è sicuramente la mitica città di Paititi. Per secoli, dalla conquista dell’America, la leggenda dell’uomo dorato ha affascinato avventurieri e cercatori di tesori. Questa città leggendaria, parallela al mito dell’Eldorado, non è stata mai trovata: né le mura, né giacimenti d’oro, né strade pavimentate di prezioso metallo. Nel 2001 però è accaduto qualcosa di importante: l’archeologo italiano Mario Polia ha scoperto negli archivi del Vaticano una pista che fornisce nuovi dati alla ricerca: una lettera scritta verso la metà del XVI secolo da un gesuita spagnolo, Andres Lopez. Questa lettera racconta un viaggio a piedi che gli antichi indigeni intrapresero diretti al regno di Paititi, una città che custodiva più oro di Cuzco. Ciò conferma che gli Inca credevano che esistesse una città importante e più grande di Cuzco? L’esatta posizione di questa città segreta fu mantenuta nascosta per evitare la febbre dell’oro? Di questo ci parla Marco Zagni.
Marco racconta ai nostri lettori chi sei e cosa hai fatto ma soprattutto cosa ti stai apprestando a fare.
Sono del 1962. Già a otto anni leggevo tanti libri d’avventura, storie misteriose, esotiche, lontane: mi emozionavo per le avventure di Thor Heyerdahl e sulla fine del Colonnello Fawcett. In famiglia avevo un parente esploratore, Mario Ghiringhelli, che mi ha iniziato sin da ragazzo alle prime esperienze: nel 1984 mi avventurai con lui nella foresta della Guyana Francese, sulle orme di Papillon. E tutto cambiò: il Sud America è qualcosa che ti entra nel sangue e non ti lascia più. Ho conosciuto più avanti Roberto Giacobbo e ho collaborato con lui a Voyager per una spedizione in Perù sulle Ande, a Marcahuasi (2011), dove ero stato il primo italiano a giungerci, già nel 1998. Nessuno in Europa credeva che quell’altopiano misterioso esistesse davvero, io c’ero arrivato. Adesso mi aspetta una missione in Brasile col gruppo Akakor e poi ancora in Perù, il prossimo anno, sulle tracce della città perduta di Paititi. La sto cercando da anni.
Marco cos’è realmente il Paititi?
Nessuno lo sa veramente, potrebbe essere l’ultimo rifugio degli Incas, scampati agli Spagnoli, o un centro pre-incaico molto più antico. Io propendo per questa seconda ipotesi: un po’ come la Città di Zeta, cercata dal Colonnello Percy Fawcett in Brasile, personaggio diventato famosissimo anche grazie al recente film “Civiltà perduta”, del 2016, sulla storia della sua vita avventurosa.
Come può la scoperta di un’antica città cambiare la storia del nostro passato? Del passato dell’uomo? Cosa c’è di nascosto ancora?
In Sud America c’è ancora tutto da scoprire: solo adesso, e il Colonnello Fawcett lo diceva già 100 anni fa, ci si è resi conto che le più antiche culture umane amerindie giacciono nella foresta amazzonica: ci è stato di molto aiuto la fotografia aerea, satellitare, con i droni. Ma adesso bisogna buttarsi, ed esplorare, le foto non bastano, mai. C’erano state delle avvisaglie diversi anni or sono, con le ricerche di due donne formidabili, Betty Meggers e Anna Roosevelt, ma il primo a dirlo è stato proprio Fawcett. Molti anni fa mi telefonò un grande italiano, ricercatore per passione del Sud America, un po’ come me, spronandomi nella investigazione amazzonica e andina, Giancarlo Ligabue. Ora non c’è più, purtroppo, ma ha fatto delle scoperte che non ha mai rivelato, me lo disse lui stesso. Anche lui è stato un “precursore”.
Per ora il Paititi e l’Eldorado sono solo delle leggende, ma quante altre volte la leggenda è diventata storia? Ti vengono in mente altri esempi?
L’esempio più eclatante è la scoperta di Troia, ovviamente, in Turchia, ma spesso si inseguono delle leggende, quando non si ha nient’altro tra le mani: senza andare troppo lontano, alcuni importanti siti dei Vichinghi in Danimarca, sono stati scoperti negli anni trenta, praticamente, e scusami il termine, a “naso”.
Nel 2017 è stata comunque ritrovata una cittadella in Perù, ce ne vuoi parlare?
Sì, per opera di due nostre guide peruviane, Javier Pazo e Benancio Encalada, che ci avevano accompagnato nella zona solo l’anno prima, nel 2016, insieme al mio amico medico, il siciliano Roberto de Leo. Io li conoscevo perché ce li aveva consigliati come guide un nostro amico ricercatore francese, Nicolas Chapon. La faccenda è complessa: in poche parole, a Nord di Cusco esiste un Altopiano, assolutamente sconosciuto e mai esplorato, chiamato “Mesopotamico” dal dottor Carlos Neuenschwander Landa (mesopotanico deriva dal greco e significa ‘che si trova tra due fiumi’) che lo sorvolò nei primi Anni Sessanta. Dall’inizio degli Anni Duemila, grazie alla scoperta in Vaticano di una lettera del Seicento inviata dai Gesuiti al Papa, per opera del nostro scienziato italiano Mario Polia, si è compreso che il Regno del Paititi dovrebbe essere proprio da quelle parti. La cittadella scoperta l’anno scorso è stata subito definita dagli studiosi peruviani “l’Avamposto del Paititi”. E se lo dicono loro..
Cos’è questa foto? Sembra una montagna quadrata: stranissima. Spiegaci Marco (*nota)
Sì, sui social gira moltissimo, è la zona più a Est di tutto l’Altopiano Mesopotamico. E’ molto suggestiva ed sarà un obiettivo importante per noi. In realtà di quell’area della “Montagna
Quadrata” mi ero già procurato una foto americana dai satelliti Landsat già dal 2001. Ma è tutto l’Altopiano da esplorare, non è detto che il Paititi sia proprio là in cima, anche se c’è chi
lo afferma senza alcun dubbio. E queste cose mi fanno molto sorridere, perché nell’esplorazione archeologica non bastano le foto, se no saremmo tutti “esploratori da salotto”. Bisogna rischiare di persona e andare a verificare sul posto, come sempre si è fatto e sempre si farà, navigando sui fiumi e scalando le montagne, in cerca delle “città perdute” e anche un po’ in cerca di se stessi e del proprio limite.
Quanto durerà la vostra missione, qual è l’obiettivo principale?
Ovviamente trovare il Regno del Paititi, ma la prima cosa sarà raggiungere l’Altopiano Mesopotamico, cosa mai fatta da nessun esploratore al mondo. La zona è molto impervia, quasi impossibile da raggiungere per via terrestre, se non stando via diversi mesi. Per questo stiamo cercando fondi per affittare un elicottero (o una buona barca) e risparmiare tempo, e fatica. Nell’impresa sono con noi l’archeologo Giuseppe Fort (Associazione Campo Base) di Roma e l’Astrofisica Silvia Motta dell’INAF di Milano Brera (Istituto Nazionale di Astrofisica). Inoltre abbiamo ottenuto il patrocinio della Società Geografica Italiana, la più antica società geografica del nostro Paese. Nel 2016 eravamo stati nella zona più vicina, chiamata Valle di Lacco, che è una vera miniera di petroglifi e simboli amazzonici di carattere astronomico e simbolico. Si sta dando da fare molto, e sarà con noi, anche l’esploratore veronese Marco Lizzari. Speriamo anche nella partecipazione dell’esploratore americano Greg Deyermenjian, nostro amico e molto esperto della zona.
Non posso non chiederti dei Volti di Pietra scoperti da Daniel Ruzo. Come sei venuto a conoscenza di questa incredibile storia? Avevi già scritto il libro quando sei stato contattato dalla redazione di Voyager?
Sapevo della scoperta di Marcahuasi da parte del dottor Daniel Ruzo e dei suoi enigmatici volti giganti plurimillenari abbozzati sull’Altipiano andino già dai primi Anni Ottanta, leggendo i libri del ricercatore francese Marcel Homet. Il problema era che Ruzo, quando venne in Europa alla Sorbona di Parigi a parlare di quello che aveva scoperto, venne accusato di aver falsificato le fotografie dei volti umani e di animali, inventandosi un posto sulle Ande peruviane, che secondo la scienza, in realtà non esisteva. Mi era sembrata una cosa assurda e, quasi per caso, nel 1998, con il mio amico peruviano Paul Mazzei, di origine italiana, partendo da Lima, andammo a cercarlo. E lo trovammo. Daniel Ruzo aveva ragione, Marcahuasi esisteva, ed esiste, veramente. Questo fu poi l’obiettivo della missione con Voyager nel 2011, grazie a Roberto Giacobbo e al giornalista Fulvio Benelli.
*Nota
Il punto segnato come “Paititi” rappresenta la zona dove si trova la “Montagna Quadrata”, la zona ultima da raggiungere ed esplorare, sia con la missione in elicottero, sia con quella terrestre.