“Cogito ergo sum, ‘penso dunque sono'”. Così esordiva qualche giorno fa, nella rubrica che tiene sul quotidiano francese Le Monde, Guillaume Martin. Il 25enne parigino è un ciclista professionista della Wanty-Groupe Gobert e sta disputando il Tour de France (attualmente è in 15° posizione).

La frase di Cartesio non è citata a caso dal ciclista-filosofo. Così Martin è stato ribattezzato in gruppo perché ha anche conseguito diploma in Filosofia all’Università di Nanterre con una tesi di master intitolata Lo sport moderno: è l’applicazione della filosofia nietzschiana?. Una rarità preziosa dunque il parere di un atleta intellettuale che racconta la corsa dall’interno. Ancora più preziosa la sua descrizione sportivo-filosofica del fenomeno che sta contraddistinguendo le ultime tappe: la fuga.

Guillaume ci rende partecipe dei suoi pensieri nel momento fatidico, di solito corrispondente ai primi chilometri e ci fa entrare nella mente di un corridore, ci racconta di lui corridore che vede un collega attaccare. “Penso a cosa fare?” si chiede Guillaume “essere o non essere (nella fuga)? Chi non prova nulla non ha nulla (…) Dunque sono”. Ma quando decide di prendere la ruota del ciclista che è appena andato all’offensiva era già troppo distante. Guillaume Martin è andato in fuga all’11° e 16° tappa, quest’ultima vinta dal connazionale Julian Alaphilippe, concludendo al 12° posto (miglior piazzamento di tappa ad oggi).

Martin cerca anche di trovare una morale ciclosofica (moralité vélosophique) in un paragrafo che intitola, Sto pedalando dunque sono: “Il ciclismo non può essere ridotto a una semplice riflessione, a un calcolo razionale. Se penso troppo, non agisco. I briefing sul bus prima della partenza, i grandi piani di battaglia, le istruzioni per il padiglione auricolare, è molto bello. Ma questo non sostituirà mai l’esperienza immediata del corridore sul campo. In fin dei conti, l’importante è pedalare! Per esempio, mi viene spesso chiesto cosa penso del ciclismo o cosa la filosofia apporti alla mia pratica. A rischio di deludervi, la mia paura è piuttosto che la filosofia mi serve ma il più delle volte, non penso proprio a nulla. Troppo pensiero uccide l’azione”.

La corsa continua e Guillaume descrive le emozioni che si vivono quando si azzecca la fuga giusta, si attacca e si assapora la vittoria. L’avverte Martin, l’eccitazione della fuga, la paragona al maneggiare un frutto proibito. L’ultima scalata, il pregustare il successo, l’incredulità del vuoto fra sé e gli avversari lo portano inevitabilmente a sovraccaricare la sua mente pensante e pesante. Pesante come la caduta che gli nega il successo, una distrazione in curva, fine del sogno di gloria e la dura realtà del dover pure guarire in fretta, occorre rialzarsi e pedalare. “Pedalo dunque sono” appunto.

Guillaume Martin e le sue cronache sono l’antidoto giusto a un Tour affetto da gigantismo, che sbaglia e non ammette i suoi errori, le sue debolezze e che da qualche anno celebra la vittoria del superteam (Sky), o per tornare alla filosofia, del superuomo al comando (Chris Froome). Il britannico che per Aso (l’organizzazione del Tour de France) è quasi un demiurgo senza il quale “è impossibile che ogni cosa abbia nascimento” soffre un dualismo interno con Geraint Thomas. Penserà o agirà per inseguire il mito? Sabato avremo le risposte che cerchiamo.

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