Secondo Roberto Saviano, Matteo Salvini, neo ministro dell’Interno, è “il ministro della malavita“. Come Giolitti secondo Salvemini. Erano i primi anni del Novecento. E al Sud, erano gli anni della fame, della tubercolosi. Dell’esodo verso l’America. Per Giolitti, liberale, il traino dell’Italia era il nord. Il nord industriale. Era lì che era necessario concentrare gli investimenti. Il sud non era che un serbatoio di voti. Da gestire attraverso il clientelismo. Attraverso i notabili locali. Spesso legati alla criminalità. Salvemini non accusava Giolitti di mafia: accusava Giolitti, più esattamente, di non agire contro la mafia. Di guardare da un’altra parte.
Perché gli tornava utile. E dunque, di rendersi complice. Dopo anni di invettive contro il Sud, a capo di un partito chiamato Lega Nord, il 4 marzo Matteo Salvini è stato eletto al Senato in Calabria. Con il sostegno, in particolare, di Giuseppe Scopelliti, già sindaco di Reggio Calabria e presidente della Regione, al momento in carcere per falso in atto pubblico. L’alleanza tra Salvini e Scopelliti è stata mediata da Domenico Furgiuele, il coordinatore regionale della Lega. Il cui suocero, Salvatore Mazzei, è un noto imprenditore a cui l’antimafia ha confiscato beni per 200 milioni di euro. Non sono cose che dice Saviano, tra l’altro. Sono cose che dice la magistratura.
E che ha raccontato anche il Guardian. Che però, non è stato querelato. Ma quella citazione di Salvemini, è diffamazione, o è un’opinione?
A Rosarno, a un comizio di Salvini erano presenti esponenti della famiglia Pesce. E affiliati alla famiglia Bellocco. E chi sta sul palco o parla, come un ragazzo che il 23 settembre 2006, da un palco di Casal Di Principe, guardò i parenti dei latitanti, in un angolo della piazza, e disse: “Questa non è la vostra terra – o parla o tace”.
E chi tace acconsente. Il 70 percento delle querele contro i giornalisti viene archiviato dal Gip. E cioè subito. Nella fase delle indagini preliminari. Del 30 percento che arriva a giudizio, solo il 30 percento si chiude con una condanna. Ma in realtà, ti conviene arrivare a giudizio. E affrontare anni di processo, anni di carte, di avvocati, udienze, di giorni sprecati a recuperare prove, rintracciare testimoni: perché altrimenti, le spese legali restano a tuo carico.
Altrimenti, non solo sei stato querelato per niente. Ti tocca anche pagare. In Italia le querele contro i giornalisti non sono una difesa dalla diffamazione. Sono un’arma di intimidazione: e sono i numeri a dirlo. Enrico Mentana ha avuto circa 300 querele (almeno secondo Rolling stone). Marco Travaglio circa 250 – prima di diventare direttore del Fatto Quotidiano, e perdere il conto. A Corrado Formigli, la Fiat una volta ha chiesto 20 milioni di euro di risarcimento. Manco gli avesse causato un crollo in Borsa. E colpire uno, significa colpire tutti. Letteralmente. Non è retorica. Il giornalismo non è un’avventura individuale, è un’impresa collettiva. Che si tratti di mafia, o di migranti, di tangenti o di precarietà, un’inchiesta è sempre decine di inchieste insieme. E il segnale a uno, è il segnale a tutti: se parli, se scrivi, se insisti, ti querelo.
E non importa se poi perdo. Intanto ti ho fermato. Giolitti, detto per inciso, fu anche l’uomo della guerra in Libia. Una guerra voluta più per ragioni economiche, che strategiche: per conquistare nuovi mercati. E per distrarre l’opinione pubblica dai problemi interni. Gli anni di Giolitti furono anni di governi difficilmente classificabili, né di destra né di sinistra. E aprirono la strada al fascismo. Ma questa è un’altra storia.