Ryanair scivola su una bottiglia d’acqua, una di quelle da tre euro che ormai ci siamo assuefatti a pagare in nome della magia di imbarcasi su un volo internazionale al costo inferiore di un treno regionale. E proprio quelle bottiglie d’acqua – in vendita anche al personale di volo – sono un po’ il simbolo della filosofia Ryanair: staff e passeggeri nel pensiero low-cost sono solo minuscoli frammenti di un enorme e rapidissimo meccanismo costruito su taglio all’osso delle spese, marketing e rapidità. Una società che ha trasformato il “cheap” in bello, la quantità seriale in qualità e lo sgarbo in politica aziendale. D’altronde, gentilezza e misure di comfort non fanno fare soldi, allora perché adottarle? Ma al lato folkloristico del campionario di esperienze “fantozziane” che tutti possono raccontare sulla compagnia irlandese, se ne aggiunge un altro più oscuro: Ryanair fa soldi a palate approfittando dei lavoratori, piloti o personale di bordo e della complessa, e contradditoria, stratificazione di normative nell’Ue.
Questo è ciò che dicono i sindacati e per questa ragione, per la bottiglietta d’acqua, per le pause, per una paga migliore, per una maggiore stabilità contrattuale ma soprattutto per poter instaurare un rapporto di lavoro dall’aspetto meno occasionale, il personale di bordo di base in Belgio, Spagna, Portogallo e Italia (ma solo per la giornata del 24) ha iniziato ieri e porterà avanti per due giorni uno sciopero, il primo di una certa consistenza che abbia mai colpito la società. Hostess e steward della low-cost delle low-cost si sentono un po’ riders di Deliveroo ma in alta quota.
Ryanair riflette in tutto e per tutto l’immagine della spregiudicatezza, della “big mouth” nella versione più mercantilista e sbruffona del ceo Michael O’Leary, un genio a modo suo, che ha messo in piedi una diabolica macchina macina soldi e trita diritti. Ryanair è figlia dell’epoca in cui viviamo, anzi quest’epoca l’ha anticipata, giocando un po’ da apri pista nei primi duemila fenomeni come il turismo di massa e la gentrificazione totale: senza spostamenti a prezzi stracciati, società come Airbnb avrebbero avuto grandi difficoltà a raggiungere i numeri di oggi.
Ma Ryanair, come Airbnb, ha un lato oscuro che noi tutti, assuefatti alla droga del viaggio compulsivo – la stessa sindrome consumistica del “next cool thing”- facciamo finta di non vedere: la bella storia del “no frills”, senza fronzoli, l’epopea dell’imprenditore visionario che offre una corsa in aereo al prezzo di una linea urbana di autobus ha i suoi scheletri nell’armadio, come tutte le aziende della new economy; tra tutti spiccano l’utilizzo di architetture fiscali per aggirare gli uffici delle tasse più esigenti e quello di complessi meccanismi per evitare contratti di lavoro locali. A Ryanair non sono solo bravi con la contabilità: il modello costruito sulla spremitura fino all’ultimo cent di ogni attività dell’azienda comporta disciplina calvinista, anche se la compagnia viene dalla cattolicissima Irlanda, ma soprattutto zero dissenso.
La filosofia ultra-liberista del “prendere o lasciare”, valido per il personale tanto quanto per i passeggeri, non ha alienato loro simpatie: “con pochi euro per un volo internazionale, cosa pretendi, pure un buon servizio?” è un pensiero diffuso. Un pensiero ingenuo che alla fine ha annullato le difese immunitarie al cittadino-consumatore: la spesa ridicola per il volo e le sanzioni “draconiane” imposte a chi non fa il check-in online oppure il bando totale alla parola “gratis” in qualunque forma si manifesti (anche solo un bicchiere d’acqua per prendere un’aspirina) fanno ingoiare qualunque cosa. Figuriamoci lo sfruttamento del lavoro denunciato dai sindacati: se ad hostess e steward le condizioni proprio non piacciono che si trovino un altro lavoro, scrivono tanti sui social, ma rovinare le vacanze alla gente, quella si, è una violazione dei diritti umani.
Queste pulsioni irrazionali l’astuto O’Leary le conosce bene e da giorni, utilizzando sapientemente la potente macchina del marketing impiegata fino ad oggi per promozioni e avvisi, ha lanciato una vera e propria campagna pubblica contro il suo staff ribelle: sciopero ingiustificato e del tutto infondato ha scritto la compagnia sui social, cercando di far leva sulle “vacanze rovinate ai passeggeri”. Ovviamente nessuno spazio alle rivendicazioni dei lavoratori e soprattutto ricorso immediato all’”esercito di riserva” preso da quei Paesi dove il personale non ha indetto agitazioni.
Il ceo di Ryanair non odia i sindacati, semplicemente non ne capisce la funzione, come non capisce la funzione delle associazioni di consumatori che pretendono il rispetto dello standard minimo delle direttive Ue. Per anni la dottrina è stata “non trattiamo con le associazioni di lavoratori, la legge ce lo concede”. Ora le cose sono cambiate, e dopo il duro colpo inferto dal primo vero sciopero in 30 anni la compagnia prepara le contromosse. La prima è stata quella, annunciata in queste ore, del licenziamento di quasi 300 tra piloti e personale di volo nella base di Dublino: le ragioni sarebbero il danno economico e di immagine causato causato dall’azione sindacale ma in realtà, pare che i profitti del colosso low-cost tendano alla contrazione, indipendentemente dalle agitazioni del personale; magari il modello Ryan non funziona più. Magari, in un’economia di mercato, anche le stelle, ad un certo punto, smettono di brillare.