A poco meno di un anno dalla decisione presa dal cda di via Prenestina, il collegio di giudici ha reputato valido il progetto di rilancio dell'azienda, strozzata da debiti complessivi per 1,3 miliardi di euro
Il piano concordatario proposto da Atac fornisce maggiori garanzie di restituzione del credito rispetto a un’eventuale liquidazione attraverso amministrazione straordinaria. Da approfondire, invece, la posizione sul pronunciamento dell’Agcm rispetto alla proroga biennale del contratto di servizio e le difficoltà di acquisto dei nuovi autobus. È favorevole al Campidoglio la decisione del Tribunale Fallimentare di Roma di ammettere la società dei trasporti capitolina al concordato in continuità. Il collegio ha deciso di dare fiducia al piano industriale proposto nel gennaio scorso e “corretto” a fine maggio, dope le controdeduzioni fornite alla stessa Assise giudicante. La procedura era stata decisa dal cda Atac nel settembre 2017, alla luce degli 1,3 miliardi di debiti accumulati dalla municipalizzata, che non lasciavano più alcuno spazio di manovra per un rilancio dell’azienda, tartassata dai creditori e con gravi problemi di liquidità. All’interno del decreto di 16 pagine firmato da Antonino La Malfa, si legge che “in ogni scenario posto omologa considerato nella proposta concordataria, la soddisfazione stimata dei creditori chirografari risulta complessivamente migliore dello scenario di amministrazione straordinaria”. Infatti, “nella situazione più sfavorevole – si legge al punto D ‘attestazione e scenario comparativo’ – i creditori dovrebbero ottenere, al 2028, data del presumibile riparto in caso di amministrazione straordinaria, un livello di recupero del 61% della propria pretesa, superiore al livello massimo che emerge nello scenario comparativo (49,7%). Tradotto: se tutto va come deve andare, almeno i due terzi dei rimborsi si concluderanno entro 10 anni.
Le banche invitate a restituire 55 milioni – Come detto, il Tribunale fallimentare ha accolto positivamente i chiarimenti e le correzioni ottemperate da Atac nelle controdeduzioni consegnate a maggio. Sono state giudicate esaustive le risposte sui 5 pilastri su cui si fonda la proposta concordataria (incremento offerta chilometrica; aumento qualità del servizio; trasformazione digitale; riposizionamento commerciale; razionalizzazione dei costi indiretti), così come sono state acquisite le perizie complete sul valore degli immobili e del parco vetture (treni, autobus e tram) e quelle relative alle partecipazioni in Assicurazioni di Roma. Risvolto positivo anche per il sacrificio del Comune di Roma, che ha postergato il suo credito di 450 milioni di euro, somma che inizierà a riscuotere dopo che l’ultimo creditore chirografario sarà soddisfatto, rischio economico che la Giunta Raggi ha “coperto” grazie a un cospicuo avanzo di gestione derivante dai 2 miliardi impegnati e non spesi nel 2017. Non solo. Il giorno prima che il cda decidesse di procedere con il concordato preventivo in continuità, Atac aveva proceduto a versare agli istituti di credito la somma di 55 milioni di euro, operazione censurata nel primo decreto del Tribunale fallimentare di marzo. Nel decreto definitivo, invece si sottolineano “i vantaggi derivanti dall’esperimento delle azioni revocatorie nei confronti di alcuni intermediari bancari” che ha portato a recepire “il rilievo svolto in ordine alla possibilità di esperire azioni revocatorie nei confronti del ceto bancario per 55 milioni”. E pensare che la notizia, anticipata a marzo proprio da IlFattoQuotidiano.it, fu inizialmente smentita dalla stessa Atac.
Antitrust e gara bus: i due punti interrogativi – Permangono solo due punti interrogativi. Prima del 19 dicembre 2018, data per la quale sono stati convocati i creditori di Atac (che a quel punto dovranno votare il loro benestare alla procedura), i giudici dovranno approfondire la questione relativa al parere dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato che nel novembre 2017 aveva bocciato l’affidamento in house di Atac, auspicando la messa a gara del servizio di trasporto entro il termine del 2019, come contenuto nelle direttive europee di settore. Le stesse direttive, in realtà, indicano come facoltativa questa presa di posizione per le città metropolitane, ma restano i dubbi giurisprudenziali. Più concreta è la corsa contro il tempo della società capitolina per l’acquisto di una parte dei 320 nuovi autobus in tre anni garantiti nel piano industriale, la cui prima gara è andata incredibilmente deserta: il Campidoglio, in questi giorni, ha dato indicazione di partecipare alla gara Consip per accelerare l’iter e dotarsi delle vetture necessarie entro il 2019.