Questa è la storia di una “svista”. Di una svista dello Stato che viola le sue stesse leggi. Succede a Bari. Il fatto si riferisce al vincolo monumentale del Castello Svevo che sarebbe stato “dimenticato” nel corso della conferenza di servizi che nel 2010 da il via libera al progetto per la realizzazione di una palazzina di tre piani di fronte a largo Santa Chiara nella città vecchia, per consentire il trasferimento degli Uffici del Genio civile e del Provveditorato alle Opere pubbliche. In altre parole nessuno si accorge, a cominciare dalla Soprintendenza, di un vincolo del 1930 che “proteggeva” la visuale del Castello che si affaccia sul lungomare De Tullio.
A fine 2013 iniziano quindi i lavori. Contemporaneamente nasce un comitato cittadino che cerca in tutti i modi di ostacolarli. La questione finisce dinanzi al Tar che, dopo un primo stop, concesso dal giudice monocratico, in seduta collegiale respinge la sospensiva essendo ormai avviati i lavori e ritenendo “prioritario l’interesse pubblico dell’opera, fatte salve le valutazioni del giudizio di merito”. Ad agosto 2014, il comitato interpella la Procura di Bari che acquisisce tutti i documenti, dopo che anche il Comune aveva chiesto al Provveditorato, in una lettera, lo stop alla costruzione, avendo rilevato la presenza di un vincolo nell’area risalente a circa 80 anni fa. Alla missiva di Palazzo di Città segue il parere negativo del Ministero delle Infrastrutture, che spiega che le competenze in materia, spettano alla Sovrintendenza. Intanto i lavori proseguono.
Nel 2016 la Procura scrive tre persone nel registro degli indagati: l’ex direttore regionale dei Beni culturali Ruggero Martines, l’ex soprintendente ai Beni architettonici e al paesaggio Nunzio Tomaiuoli e la funzionaria della soprintendenza Emilia Pellegrino. Tutti sono accusati di concorso in abuso di ufficio per aver firmato il via libera nel 2010 alla costruzione della palazzina in un’area sottoposta a vincolo con un decreto del 1930. Pur riconoscendo “la negligenza degli uffici della Sovrintendenza che hanno taciuto nella conferenza dei servizi dell’anno 2010 l’esistenza del vincolo culturale di tutela indiretta”, i magistrati, chiedono l’archiviazione per i tre funzionari. Contestualmente, però, aprono un nuovo fascicolo: l’ipotesi di reato è quella di abusivismo edilizio e nel registro degli indagati finisce Francesco Musci, l’ex provveditore alle Opere pubbliche di Puglia e Basilicata rimasto in carica a Bari fino al 2014. Il 27 novembre 2013 aveva avviato i lavori di ampliamento degli uffici del provveditorato. La Procura inserisce tra le parti lese il Comune di Bari e il ministero dei Beni e delle attività culturali.
Lavori sospesi? Assolutamente no. Si susseguono invece incontri, dibattiti cittadini. Il Comune alza la voce con la Sovrintendenza ma qualcuno mormora che non la alza abbastanza. Il Consiglio di Stato viene interpellato. Chiede a fine 2017 la consulenza di un perito della Capitale. A qualche giorno fa risale la sentenza: il palazzo sul lungomare De Tullio non andava fatto. “Nella lotta giudiziaria contro questo Abuso di Stato – racconta Michele Fanelli del Comitato – i cittadini e le numerose Associazioni aderenti al Comitato Parco del Castello di Bari hanno operato in solitudine senza alcun sostegno da parte delle istituzioni locali. Questa battaglia, ci è costata ottomila euro, per noi era troppo importante”. E ancora: “Giustizia è stata fatta, ora la cittadinanza si batterà perché quell’abuso di stato venga demolito“.
Ma non è finita qui. Da mesi il comitato continua a chiedere l’apertura del giardino interno del provveditorato – dove ora c’è un parcheggio privato – per realizzare un’area attrezzata per i bambini. La promessa era stata strappata dal sindaco Antonio Decaro all’ex ministro alle Infrastrutture Graziano Delrio. Era il 26 aprile del 2016. Il parcheggio privato però è ancora lì, nel palazzo dichiarato abusivo dal Consiglio di Stato. A pochi passi ci sono bimbi che giocano tra lo smog delle auto, in un quartiere con un grosso problema sociale. Dove si organizzano incontri sulla legalità e dove c’è una palazzina di tre piani abusiva, che ospita uffici della Soprintendenza dimostrando che a volte lo Stato è il primo a violare le leggi.