A una settimana dallo scoccare del mese di agosto, quello, per intenderci, che viene scelto spesso da chi governa per far passare in sordina le decisioni meno gradite confidando nella calura e nella disattenzione vacanziera, arriva la comunicazione della prima giunta a guida di una donna della capitale dell’Italia di revocare, con effetto immediato, la convenzione alla Casa internazionale delle donne di Roma.
La comunicazione è stata resa nota dopo una riunione all’assessorato al Patrimonio. Le responsabili della Casa hanno dichiarato che, attraverso l’assessora Rosalba Castiglione, il Comune ha respinto la memoria consegnata a fine gennaio 2018, nella quale si avanzava una proposta per affrontare il debito, con conseguente revoca immediata della convenzione che regola i rapporti fra la Casa Internazionale e il Comune di Roma.
In questi mesi, da quando è partita la campagna per scongiurare la fine dell’esperienza storica di una delle realtà italiane più interessanti e feconde del movimento delle donne italiano quale è la Casa Internazionale delle donne di Roma, si sono susseguite iniziative di incontro, dibattito, musica, cultura, perché questo è stata, ed è, la Casa: un luogo aperto a chiunque, nel cuore della capitale, nel quale godere della bellezza e della ricchezza della storia costruita da migliaia di donne nei decenni.
Durante uno di questi eventi di sostegno, che in modo significativo è stato intitolato Chiamata alle arti, alcune attrici e musiciste hanno dato vita ad uno spettacolo nel suggestivo cortile della Casa.
Mi hanno molto colpita le parole di Jasmine Trinca, giovane e intensa artista che insieme ad altre ha partecipato in questi mesi alla mobilitazione: “C’è un problema di fondo – ha detto l’attrice. Là dove si pensa di avere un credito si è, invece, in debito”.
Ecco, la parola debito è importante non soltanto in questo contesto, ma è decisiva per la politica. Perché chi governa oggi nel nome del “cambiamento” (mi riferisco a chi ha scelto il movimento cinque stelle come orizzonte) non si accorge quanto il suo successo politico sia debitore nei confronti del lavoro del movimento delle donne? Come è possibile che un governo locale (parliamo della capitale) retto da una donna colta e giovane che dice di conoscere e amare la sua città non riconosca un luogo fisico, accogliente, funzionante, riconosciuto a livello internazionale come una risorsa da valorizzare e preservare quale bene comune? I conti in regola sono importanti, e le responsabili della Casa hanno dimostrato di voler collaborare, come si conviene, perché la struttura non è il frutto di una occupazione momentanea ma è il prodotto di un progetto serio, partecipato e responsabile.
Se esiste un debito (economico) che il Comune vanta considerando la Casa una struttura privata, non è forse vero che Roma, senza la Casa, entrerebbe in un drammatico debito di ossigeno, perché senza la Casa Roma perderebbe uno dei polmoni che, ancora, fanno della città un luogo dove si respirano cultura, pace, progetti, aria (metaforica) quanto mai indispensabile?