A due giorni dalla chiusura indagini della procura di Caltanissetta sul caso Montante dagli atti emerge una nuova contestazione a Renato Schifani, ex presidente del Senato, già indagato per rivelazione di concorso in associazione per delinquere. La posizione del senatore di Forza Italia si è aggravata. Gli inquirenti ora contestano il reato di concorso in associazione a delinquere.

Quando esplose l’inchiesta, con l’arresto dell’ex presidente di Sicindustria, era emerso che al parlamentare venivano contestata la rivelazione di informazioni apprese dall’ex direttore dell’Aisi Arturo Esposito che a sua volta le aveva avute da altri appartenenti alle forze di polizia. In particolare, avrebbe riferito al docente universitario Angelo Cuva (indagato) che il colonnello Giuseppe D’Agata era coinvolto nel procedimento. Dalle intercettazioni – scriveva il gip – sarebbe dunque emersa una rete in cui vi era uno “stabile canale di comunicazione” tra un appartenente alla Polizia e uno 007 “al fine di travasare notizie riservate sull’indagine in corso presso questa procura”. Informazioni che “su input del generale Esposito” dovevano essere “veicolate al Montante e, successivamente, anche a Giuseppe D’Agata al fine di consentire loro di prendere le dovute contromisure”. A tal fine, si leggeva ancora nell’ordinanza, “si accertava che il D’Agata fosse in contatto con un professionista palermitano cui è legato da saldi rapporti d’amicizia, Angelo Cuva, e che quest’ultimo rappresentasse il trait d’union tra lo stesso D’Agata e il senatore Schifani, il quale, a sua volta, si relazionava ai fini descritti con il generale Esposito”. Poco meno di due settimane dopo l’arresto di Montante, che nel frattempo è passato dai domiciliari al carcereSchifani, Esposito e Cuva si erano avvalsi della facoltà di non rispondere agli inquirenti.  Lo scorso 25 maggio, inoltre, Schifani depositò ai magistrati nisseni una richiesta di trasferimento degli atti alla Procura di Palermo competente a indagare, secondo i suoi legali, visto che i presunti reati di rivelazione del segreto investigativo e favoreggiamento a lui contestati sarebbero stati commessi nel capoluogo.

Oltre a Montante e Schifani, Cuva, Esposito, l’inchiesta coinvolge l’imprenditore Massimo Romano, gli esponenti delle forze dell’ordine Gianfranco Ardizzone, ex capo centro Dia, Ettore Orfanello, ufficiale della guardia di finanza, Mario Sanfilippo, che era in servizio alla polizia tributaria, Giuseppe D’Agata, ufficiale dell’Arma, i poliziotti Diego Di Simone, Marco De Angelis e Salvatore Graceffa, Andrea Grassi, dello Sco, Andrea Cavacece, ex capo reparto dell’Aisi. Per favoreggiamento sono indagati Vincenzo Mistretta, Carmela Giardina, Rosetta Cangialosi, Salvatore Calì, Andrea Calì, Salvatore Mauro, Carlo La Rotonda, Letterio Romeo, Maurizio Bernava e Alessandro Ferrara, accusato di aver favorito Montante mentendo agli inquirenti.

L’ex presidente del Senato, però, aveva negato ogni addebito e minacciato querela. “Apprendo con stupore l’indagine a mio carico riguardo una mia presunta condotta, che è assolutamente inesistente – diceva l’ex presidente di Palazzo Madamanel giorno dell’arresto di Montante–  Mi riservo, piuttosto, di denunciare per millantato credito chi per ipotesi mi ha coinvolto e fin d’ora sono a disposizione dell’Autorità giudiziaria per comprendere meglio la vicenda ed avviare tutte le iniziative opportune, al fine di tutelarmi da un’accusa palesemente infondata. Rivendico, infine, che non ho mai avuto alcuna amicizia o frequentazione con il signor Montante, a dimostrazione dell’assoluto disinteresse nei confronti di quest’ultimo”. Ma il 26 maggio aveva scelto il silenzio davanti ai pm.

Ora come scrive Livesicilia.it a Schifani, insieme a Grassi, Cavacece e Cuva, viene contestata l’accusa di concorso in associazione per delinquere. Tutti avrebbero concorso “nel rafforzamento e perseguimento degli interessi mettendo a disposizione degli appartenenti al sodalizio, le possibilità derivanti dai ruoli ricoperti al fine di aiutarli a eludere le investigazioni che la Procura della Repubblica di Caltanissetta stava eseguendo sul loro conto attraverso la rivelazione reiterata e continuativa di notizie coperte da segreto d’ufficio relative alle indagini svolte nei loro confronti”.

“Sono sorpreso e allibito – afferma oggi Schifani – perché mi si contesta di avere favorito una persona con cui notoriamente non ho mai avuto rapporti di amicizia e frequentazione. Quando avrò cognizione delle indagini che sino ad oggi sono a me ignote, mi difenderò nelle opportune sedi della Giustizia nella quale nutro sempre fiducia”.

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