di Monica di Sisto*
E’ bastato un viaggio del presidente della Commissione Claude Juncker a Washington perché il trattato commerciale più discutibile e discusso dai cittadini europei, il Trattato transatlantico di liberalizzazione di scambi, investimenti e servizi tra Europa e Stati Uniti, il Ttip, fosse rilanciato nella forma più accelerata, concentrata e meno trasparente possibile.
Certo: nessuno userà mai più la odiata sigla. Ma il pessimo negoziato rilanciato il 25 luglio deve spingerci tutte e tutti il più rapidamente possibile a chiedere uno scatto d’orgoglio ai nostri rappresentanti al Parlamento europeo e al Governo italiano perché questo blitz estivo venga arrestato al più presto.
Che cosa non va bene nel Ttip risorto dalle sue ceneri? Tutto! Basta scorrere la dichiarazione congiunta d’intenti sottoscritta da Trump e dal Commissario europeo. Innanzitutto ci troviamo la conferma del fatto che, come abbiamo più spesso sostenuto in queste pagine elettroniche: i dazi sull’acciaio posti da Trump fossero un falso problema. Infatti nella dichiarazione l’impegno a affrontarli e superarli si trova all’ultimo punto dell’elenco delle priorità di lavoro che le due parti si impegnano a risolvere.
Al primo punto, invece, dopo aver ricordato che “gli Stati Uniti e l’Unione europea contano insieme oltre 830 milioni di cittadini e oltre il 50% del Pil mondiale”, si lancia un’operazione verso “tariffe zero, zero barriere non tariffarie (ossia zero regole differenti tra le due parti) e zero sussidi per beni industriali non auto”, senza quindi toccare il settore automobilistico, su cui la Germania ha subito messo un veto, dichiarando così a chiare lettere chi comanda davvero nella Commissione. Fatti questi chiarimenti, le parti si impegnano a “ridurre gli ostacoli e aumentare il commercio di servizi, prodotti chimici, prodotti farmaceutici, prodotti medici e soia (che negli Usa, leader globali nell’export del cereale, è praticamente tutta Ogm). Insomma si vuole lavorare per liberare le mani prioritariamente a tutti quei settori rispetto ai quali da anni la società civile europea, i sindacati, i consumatori, gli ambientalisti e anche i produttori responsabili denunciano che tra le due sponde dell’Atlantico sono così lontane per standard e regole a tutela dei diritti di tutti, che sacrificarle per gli interessi dei soliti – pochi – poteri industriali, sarebbe una colpa imperdonabile.
Un paradossale modo di aprire le braccia a Trump, fino a ieri dipinto come il male assoluto, sbattendo la porta in faccia agli oltre quattro milioni di cittadini europei che hanno sottoscritto qualche anno fa la petizione europea per fermare il pericoloso Ttip.
L’Europa vuole “importare più gas naturale liquefatto (Gnl) dagli Stati Uniti per diversificare il proprio approvvigionamento energetico”, si legge ancora nel documento, quando è notorio che la maggior parte di questa risorsa negli Usa è estratta sbatacchiando la terra con la inquinante pratica del fracking, non ammessa da noi proprio per i suoi devastanti impatti anche sulla stabilità del sottosuolo. Inquieta, inoltre, che l’Europa spinga apertamente per “avviare uno stretto dialogo sugli standard al fine di facilitare gli scambi, ridurre gli ostacoli burocratici e tagliare i costi”. E questo, pericolosamente, senza alcun controllo democratico o parlamentare.
Quello che più preoccupa, infatti, per la tenuta democratica delle nostre istituzioni è che si dichiara “di istituire immediatamente un gruppo di lavoro esecutivo dei nostri più stretti consulenti per portare avanti questa agenda congiunta. Inoltre, individuerà misure a breve termine per facilitare gli scambi commerciali e valutare le misure tariffarie esistenti. Mentre stiamo lavorando su questo, non andremo contro lo spirito di questo accordo, a meno che nessuna delle parti non risolva i negoziati”. Insomma un oscuro gruppo di tecnici, senza mandato negoziale espresso o votato dai Governi europei né controllo parlamentare porterà avanti questa delicata trattativa, legando le mani dei governi europei rispetto alle future iniziative a protezione dei nostri diritti.
Come associazioni e comitati mobilitati in Italia e in Europa per un commercio più giusto e la promozione dei diritti sociali ed ambientali, oltre che di una “buona” economia, chiediamo ai parlamentari europei, a quelli italiani e al Governo del nostro Paese di farsi sentire il prima possibile per fermare il Ttip zombie, colpo di coda di Bruxelles a pochi mesi dalle nuove elezioni europee.
* portavoce della Campagna Stop Ttip/Stop Ceta Italia