Figure umane nell’acqua, con le braccia alzate. Sembra che danzino, ma in realtà “si arrendono” ai pesci, urlando con gli occhi perché il mare gli sta già rubando il respiro. È l’ultimo quadro di Claudio Carrieri, un artista savonese di chiara fama, che alla “stagione dei naufragi” ha dedicato dozzine di opere. Nei giorni in cui Famiglia Cristiana scomunica senza se e senza ma le crociate di Matteo Salvini, le navi nere di Carrieri – fatte di chiodi, viti, latta, pezzi di legno e fili di ferro – evocano le “crociere” dei migranti, come relitti o “souvenir” di catastrofi così numerose che sono ormai senza nome e senza data.
Il prototipo di tutti è forse un relitto vero, una motovedetta lunga 21 metri, costruita dai sovietici negli anni 50 e ceduta negli anni 70 alla marina albanese, che oggi è conservata nel porto di Otranto. Si chiamava Kater i Rades (“Quattro in rada”). Il 28 marzo del 1997, speronata incidentalmente dalla corvetta italiana Sibilia nel corso di uno dei primi “respingimenti in mare”, colava a picco con 105 persone a bordo. Fuggivano dalla guerra civile in Albania e tra loro c’erano molte donne e molti bambini.
Ricordo che sulle colline di Valona filmai il piccolo cimitero dove vennero raccolti tutti insieme i corpi recuperati (due terzi) ma il servizio non andò mai in onda. In Parlamento Irene Pivetti e la Lega tuonavano già chiedendo che “si sparasse agli scafisti”. Le navi nere di Carrieri oggi evocano quel relitto e altre centinaia di relitti, ma trasmettono un’emozione “innocente”, senza giudizio, come tristi giocattoli , nati dal ricordo di un bambino, di qualcuno che, 20 anni dopo, riviva la stagione dei naufragi.
Appese come lampade votive al soffitto di alche cattedrale, oggi potrebbero ricordare al ministro dei rosari e dei crocifissi, al papà del Viminale, al politico che si veste da re magio, che i carichi di carne umana in arrivo dalla Libia meritano un po’ di umana pietà, visto che la “pacchia” era già finita nei paesi di origine.