Gli attacchi contro Donald Trump si moltiplicano. L’ultima bordata è arrivata da un violentissimo commento pubblicato dal New York Times di Thomas Friedman, il super falco democratico e neocon (ormai impossibile distinguere i due termini), che addirittura accusa il presidente americano di essere “un asset dello spionaggio russo”.

Non c’è nessun precedente di questo genere nell’intera storia americana. Bisognerebbe rileggere Impero di Gore Vidal, per capire il livello di violenza e di cinismo nelle lotte politiche al vertice degli Stati Uniti. Ma mai un presidente è stato accusato di essere un “agente del nemico”. Da noi si direbbe un “traditore della patria”. È in corso negli Usa la preparazione di eventi di grande rilievo, in un contesto ormai assai simile a un colpo di stato.

A cominciare dalla sarcastica risata del capo del Secret service, Dan Coats – risata amplificata milioni di volte in diretta tv dalla Cnn – alla sola ipotesi di un vertice in autunno, a Washington, tra Trump e Vladimir Putin, annunciata via Twitter dal presidente Usa. Quando la “spia numero uno” di un Paese si permette di prendere in giro pubblicamente il capo supremo delle forze armate, c’è ragione di ritenere (o, per lo meno, è questo il messaggio) che possa farlo impunemente. Se si aggiunge, al coro di accuse sempre più violente, l’iniziativa mondiale di Avaaz – un sito multimilionario “raccogli firme” americano, creatura (tra gli altri) di George Soros e della sua “Open Society” – che si propone di fatto come organizzatore dell’impeachment di Trump, si può capire cosa succede.

Avaaz pubblica infatti un enorme dossier – edito in tutte le principali lingue del mondo – in cui Putin e Trump vengono accomunati in una specie di associazione a delinquere in cui si mescolano giganteschi affari russi in America, americani in Russia, fughe di capitali per centinaia di miliardi di dollari, assassini politici di giornalisti, traffici di armi e di droga, corruzione e favoritismi in entrambi i Paesi. Insomma, oltre la politica, direttamente nella criminalità. E tutto ciò con espliciti riferimenti diretti ai due presidenti che dovrebbero decidere insieme le sorti del mondo.

C’è un’evidenza immediata. L’obiettivo della coalizione del “deep state” contro Trump sembra essere non solo quello di imporgli di cancellare quell’invito e di interrompere il tentativo di riallacciare rapporti con la Russia, ma quello di costringerlo a una ignominiosa ritirata. E non è da sottovalutare il fatto che, mentre Trump si muove in una direzione, qualcuno a Washington e dintorni potrebbe organizzare – da uno dei teatri di guerra – una risposta bellica alla sua iniziativa diplomatica, quale che ne sia il contenuto.

Donald Trump sembra intenzionato a resistere e a contrattaccare. Su diversi terreni. Uno dei quali potrebbe essere, a breve scadenza, la “presa di controllo” della Federal Reserve. Progetto – in caso venisse attuato – equivalente a una bomba atomica mondiale. Ma cosa tutt’altro che campata in aria. Quando la Fed fu creata, nel 1913 (Federal Reserve Act, 23 gennaio) il suo capo fu designato, per legge, nella persona del segretario al Tesoro. In seguito, non senza battaglie, le cose furono cambiate radicalmente e si giunse infine alla teoria e alla pratica della totale indipendenza di una qualsiasi banca centrale dal governo del relativo Paese. Pratica che divenne generale e dogma economico in tutto l’Occidente, e non solo.

L’apparenza errabonda delle azioni politico-diplomatiche di Donald Trump non dovrebbe trarre in inganno. A ben guardare c’è almeno una linea chiara: quella di far ripartire l’economia reale americana, mettendo in secondo piano la roulette della finanza, cioè Wall Street. Ora la linea attuale della Fed è esattamente l’opposto. La fine del quantitative easing significa ridurre l’afflusso di moneta circolante. E l’aumento del costo del denaro è il suo complemento. Si noti che la Fed ha alzato il tasso d’interesse per ben sette volte a partire dal quarto trimestre 2015. A questi rialzi fa seguito ora l’annuncio di altri cinque aumenti scaglionati in tempi brevi.

Si aggiunga che il Tesoro Usa dovrà pagare quest’anno circa 450 miliardi di dollari di interessi sul debito federale, cifra che si aggraverebbe con ulteriori aumenti del costo del denaro. Tutto questo è contro l’idea di “America first” con cui Trump ha condotto e vinto la sua campagna elettorale. D’altro canto la possibilità di prendere il controllo della Fed è teoricamente possibile. L’Ufficio di governo della Fed è composto per legge di sette membri. Ma al momento attuale solo tre sono in carica, due dei quali sono stati scelti da Trump. Altri due, da lui nominati, aspettano il placet del Senato. Ne mancano altri due, che sarà sempre Trump a nominare.

Se le sue scelte saranno opportunamente calibrate, la Fed potrebbe avere un Board of governors di sei “trumpiani” su sette. Sempre, naturalmente che il Senato non glieli siluri. Ed è del tutto ovvio che, in questa situazione politica, gli occhi di Wall Street saranno puntati in quella direzione. È chiaro che la Fed ha enormi poteri di controllo dell’intera “industria bancaria”. Un cambio di direzione “politica” avrebbe effetti dirompenti sull’intero sistema bancario occidentale, ovvero mondiale. L’interrogativo è dunque duplice: se Donald Trump intenda e possa sferrare un tale attacco.

Ps
La mia previsione di scontro a Washington è già stata confermata alcuni giorni fa dalla decisione di Trump di rinviare ai primi dell’anno prossimo il vertice con Putin.

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