“Grazie a questa indagine abbiamo scoperto che a Roccabernarda esiste un locale di ‘ndrangheta“. Il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, commenta così gli undic arresti eseguiti nel corso di un’operazione dei carabinieri che ha svelato anche gli autori dell’omicidio di Rocco Castiglione e del tentato omicidio di suo fratello Raffaele. Agli indagati, a vario titolo, sono contestati l’associazione di tipo mafioso, omicidio, tentato omicidio, detenzione e porto illegale di armi, ricettazione, danneggiamenti, furti, uccisioni di animali, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e abuso d’ufficio, tutti i reati sono aggravati dal metodo mafioso.
L’indagine è partita proprio a seguito dell’omicidio Castiglione, avvenuto il 31 maggio del 2014 in un agguato nelle campagne di Roccabernarda (Crotone). “Avere un locale – ha aggiunto Gratteri – vuol dire avere una rappresentanza nel gotha della ‘ndrangheta. Come accade sempre più spesso, anche in questa inchiesta emergono i rapporti con la pubblica amministrazione”. In particolare sarebbe emerso il rapporto di un assessore comunale e di un dipendente dell’Ufficio tecnico comunale con il reggente della cosca Antonio Bagnato”. Di “criminalità brutale” ha parlato il procuratore aggiunto Vincenzo Luberto. “Una criminalità – ha aggiunto – che per intimidire le persone era capace anche di uccidere i loro maiali, fonte di sostentamento per molti”. In riferimento all’omicidio di Rocco Castiglione il comandante provinciale dei carabinieri di Crotone, colonnello Alessandro Colella, ha detto che “Bagnato aveva reputato una grave offesa il fatto che la vittima si fosse rivolta al sindaco per la sistemazione di una strada senza chiedere il suo consenso“. Il “locale” di Roccabernarda, ha aggiunto l’ufficiale, assumeva importanza anche per le altre cosche in quanto “su quel territorio venivano nascoste armi ma anche latitanti”.
Furti e uccisioni di animali d’allevamento e da cortile, danneggiamenti aggravati alle colture, a veicoli, a sistemi irrigui, a mezzi meccanici, ed estorsioni nella maggior parte dei casi ai danni di persone intimidite, servivano a farle desistere anche solo dal presentare denuncia dei torti subiti. Tutto era finalizzato, secondo gli inquirenti, infatti a raggiungere uno stato di assoggettamento della popolazione attraverso un atteggiamento prevaricatore e di conseguenza un controllo e uno sfruttamento delle poche risorse economiche della zona. Da sottolineare come, in un piccolo territorio come quello di Roccabernarda, l’influenza di un’organizzazione di tipo ‘ndranghetistico viene esercitato, non già attraverso reati di elevata portata, ma anche e soprattutto con condotte che sebbene appaiono apparentemente veniali (come furto di ortaggi e verdure) hanno però la capacità di mettere sotto pressione la comunità cittadina soggiogandola ai voleri della cosca.
I carabinieri, coordinati dalla Dda, sono riusciti a individuare i componenti del sodalizio criminale, composto da 15 indagati al cui vertice si è imposto Antonio Santo Bagnato, per la procura l’ideatore dell’omicidio, determinato dalla sua volontà di affermarsi sul territorio quale vertice dell’organizzazione criminale a discapito della famiglia Castiglione; di scoprire e ricostruire numerosi reati contro il patrimonio commessi dai sodali con il benestare o per volontà di Bagnato. Sono, inoltre, riusciti ad accertare la commissione di alcuni reati commessi da funzionari dell’Ufficio Tecnico del Comune di Roccabernarda al fine di favorire l’organizzazione criminale nella realizzazione di opera edilizie abusive; infatti, nel caso ricostruito dai carabinieri della Compagnia di Petilia Policastro, l’atteggiamento dell’ufficio tecnico comunale che ha rilasciato il permesso di costruire violando la legge, non si è limitato a favorire di fatto Bagnato, ma ha allo stesso tempo rafforzato il “prestigio” dell’organizzazione laddove si consideri che la condotta dei due pubblici ufficiali, nell’impedire che il capo locale venisse bloccato nella realizzazione di un manufatto in cemento armato in corso di realizzazione e di una stalla, prendendo immediatamente dei provvedimenti e consentendone il dissequestro, ha dato l’ennesima conferma all’esterno della soggezione della comunità tutta alla cosca.
Antonio Santo Bagnato, reggente del “locale” di ‘ndrangheta di Roccabernarda, aveva assunto un ruolo tale nella vita dei cittadini del comune del Crotonese “tanto da avere pretese di conciliatore nelle controversie tra privati e farsi addirittura chiamare santo patrono”.