In Italia e nel resto dell’Eurozona la crescita rallenta. Nel secondo trimestre del 2018 il pil italiano è cresciuto dello 0,2% sul trimestre e dell’1,1% su base annua. Numeri che tracciano il quadro di un’economia in “rallentamento”, spiega l’Istat, perché tra gennaio e marzo la crescita congiunturale era stata pari rispettivamente allo 0,3 e all’1,4 per cento. Nello stesso arco temporale, secondo Eurostat, la zona euro e della Ue-28 hanno fatto registrare un +0,3% e un +0,4%: l’area che ha adottato la moneta unica frena di uno 0,1% mentre resta stabile il ritmo di progresso dell’economia Ue.
L’economia italiana, quindi, continua a crescere più lentamente rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea nonostante una frenata generalizzata. I dati diffusi dall’Istituto nazionale di statistica sono in linea con le previsioni di crescita della Commissione europea, che a metà luglio aveva limato sia le aspettative sull’Italia per il “timore o incertezza riaffioranti in materia di politica economica” che quelle dell’intera eurozona in virtù del quadro internazionale instabile a causa della volatilità dei mercati e delle tensioni commerciali legate ai dazi. Secondo Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio conti pubblici dell’università Cattolica, quest’anno “a meno di sorprese non si andrà oltre una crescita dell’1,0% o dell’1,1%” contro una “previsione ufficiale”, contenuta nellultimo Def del governo Gentiloni, dell’1,5% per quest’anno. Per Cottarelli occorre fare attenzione alle politiche da attuare, perché il ragionamento “cresciamo poco, allora aumentiamo la spesa e riduciamo le tasse in deficit” comporta molti rischi legati alle reazioni dei mercati.
Per Lucio Poma, responsabile scientifico industria e innovazione di Nomisma, “il rallentamento segnato dall’economia italiana nel secondo trimestre 2018 (da 0,3 a 0,2%), unito al calo di 49mila occupati a giugno, delineano un mese coperto di nubi”. Il 2017 “aveva conferito nuova energia al sistema economico che non è stata adeguatamente sfruttata. Al momento manca una chiara politica economica di medio periodo che riesca a collocare con vigore il nostro paese nello scacchiere internazionale. Vi sono scommesse, energetiche, logistiche e di filiera produttiva internazionale che non possono essere giocate con localismi ed atteggiamenti di chiusura che rischiano di emarginare il paese rispetto alle complesse sfide globali. La produttività di un paese si misura ormai su scala globale e non più nazionale. In questa delicata fase è fondamentale mettere al primo posto dell’agenda del governo la crescita economica”.
La variazione congiunturale, spiega l’Istat diffondendo le stime preliminari, è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca e di un aumento sia in quello dell’industria, sia in quello dei servizi. Dal lato della domanda, vi è un contributo positivo della componente nazionale (al lordo delle scorte) e un apporto negativo della componente estera netta. Con il risultato del secondo trimestre la durata dell’attuale fase di espansione dell’economia italiana raggiunge 16 trimestri, con una crescita complessiva nell’arco di questo periodo del 4,5%. Tuttavia, il livello del Pil risulta inferiore dello 0,7% rispetto al precedente picco del secondo trimestre del 2011 e del 5,4% rispetto al picco massimo del 2008.