Bruno Benedetti la matematica ce l'ha nel sangue e oggi, dopo anni di sacrifici e trasferimenti in giro per il mondo, da Stoccolma fino a Boston, ha trovato finalmente la sua dimensione: elaborare dati con i finanziamenti della National Science Foundation. "In Italia avrei lasciato la carriera accademica per andare a insegnare in qualche liceo"
Per un cervellone così, abituato a calcolare ogni più piccola probabilità fino all’ultimo decimale, dev’essere sembrato un vero azzardo. Partire e mollare Genova senza uno straccio di borsa di studio e con il rischio di ritrovarsi a fare il cameriere di notte per pagarsi gli studi. Ma un pizzico di fortuna non guasta mai. Nemmeno se come Bruno Benedetti, ricercatore alla University of Miami, la matematica ce l’hai nel sangue e oggi, dopo anni di sacrifici e trasferimenti, ti ritrovi a elaborare dati con i finanziamenti della National Science Foundation.
Roba che nel 2006, quando partì con il primo volo per Berlino, neanche avrebbe immaginato. “Sapevo bene, me l’avevano detto anche i miei professori, che se avessi voluto continuare a studiare l’unica alternativa sarebbe stata quella di lasciare l’Italia“. Così finì in Germania, alla corte di un certo Guenter Ziegler che per uno studente di matematica è un po’ come ritrovarsi, nel caso di un giovane calciatore, a palleggiare direttamente con Lionel Messi.
“Della mia formazione genovese ho un ottimo ricordo, sia sul piano umano che su quello professionale. Dopo una laurea specialistica in algebra, volevo assolutamente studiare la combinatorica. Ma là i dottorati non sono sempre retribuiti”, racconta. “Quindi senza una borsa di studio fu come fare un salto al buio. L’unico salvagente erano i 600 euro che ogni mese passavano i miei genitori e all’inizio, mi creda, fui costretto a scegliere tra un pasto regolare e un cappotto per il freddo. Ma per fortuna dopo appena pochi mesi di instabilità il Ministero approvò il progetto della Berlin Mathematical School, riunendo sotto lo stesso tetto i tre atenei della città. Fu un vero colpo di fortuna. La scuola per nascere aveva bisogno di dottorandi internazionali disposti a studiare matematica a Berlino e io, manco a dirlo, ero il candidato ideale”.
Oggi, dopo dieci anni in giro per il mondo, da Stoccolma fino a Boston, Bruno ha trovato finalmente la sua dimensione sulle coste della Florida. Qui, a Miami, fa ricerca di livello nel campo della geometria ‘discreta’. Ovvero nello studio dei politopi, cubi, piramidi o dodecaedri, che con l’avvento del digitale – ci spiega – sono tornarti ad avere un’importanza strategica per alcuni settori. “In pratica, a differenza di quello che si fa con la geometria liscia, ci occupiamo di tutti quegli oggetti che non sono tondi usando strumenti di algebra, geometria e probabilità. La nostra ricerca consiste nella riformulazione di nuovi teoremi o algoritmi legati soprattutto al mondo dell’informatica”.
Dell’Italia, oltre agli affetti, pare aver nostalgia soltanto della buona cucina. “Anche se qui a Miami i ristoranti italiani non mancano e non mi lamento. Non nascondo la mia cultura e le mie origini – racconta divertito – ma per colpa del mio accento genovese, che ha la stessa cantilena del portoghese, mi scambiano tutti per brasiliano”. Nessuna saudade però per il matematico ligure, felice di essersi lasciato alle spalle un sistema decisamente antimeritocratico. “La mentalità italiana, quella del do ut des, è assolutamente cancerogena. Se ti scelgo come speaker per una conferenza lo faccio perché penso che tu sia il migliore, non perché pretendo qualcosa in cambio. Quando organizzo eventi in Italia mi sento come un pesce fuor d’acqua. Negli Stati Uniti ogni università offre a ciascun professore uno stipendio personalizzato, in base al merito. Proprio come nel calcio: più università desiderano acquistarti e più il tuo stipendio sale. Chissà cosa capiterebbe se per legge tutti i giocatori di Serie A venissero pagati allo stesso modo; scommettiamo che in un battibaleno tutti i campioni chiederebbero di esser ceduti all’estero? Un principio quasi banale, nel calcio come in ambito accademico, che spinge tutti a impegnarsi di più per ottenere risultati tangibili”.
Insomma, buoni motivi per tornare in Italia solo durante le feste. Fiero di aver vinto quella scommessa dieci anni fa. E a ricordarglielo, oltre al libro del professor Ziegler sempre sul comodino, c’è anche un vecchio cappotto nero. “Il simbolo della fortuna e del coraggio per aver fatto quel salto nel buio”. Ma se non avesse fatto quel salto? Bruno ci pensa spesso. “Non credo che in Italia avrei fatto carriera, non sono portato al leccaculismo. Probabilmente sarei rimasto imbottigliato nelle solite dinamiche e, a un certo punto, avrei lasciato la carriera accademica per andare a insegnare matematica in qualche liceo. Vivrei a Genova coi miei genitori e guadagnerei un quinto di quello che guadagno oggi. Ma, conoscendomi, forse sarei ugualmente felice”.