Sono trascorsi quasi sei mesi dal 4 marzo 2018, cioè da quando l’ex invincibile armada democratica, ha subito l’ultima definitiva sconfitta elettorale, affondata insieme ai vascelli minori della flottiglia alla sua sinistra. Il Paese è nelle mani del binomio M5S-Lega, dopo che per due mesi circa si è cercato in tutti i modi di evitare, riuscendoci, che nessun’altra ipotesi potesse concretizzarsi, in primo luogo e per volontà assoluta del “conducator” rignanese defenestrato, un ipotetico accordo Pd-M5S, considerato più letale di un matrimonio tra consanguinei. I primi due mesi di attività del governo giallo-verde evidenziano le non poche contraddizioni di un’alleanza tra soggetti del tutto diversi (checché ne dicano i commentatori mainstream) ed anche i limiti di una forza politica – M5S – cresciuta in un movimentismo oppositivo molto radicale ma nello stesso tempo dotata di insufficiente perizia nell’arte del governo. Materia nella quale invece il suo debordante alleato ha una ben più navigata expertise.

Ciononostante anche per Salvini &c, la bocciatura di Marcello Foa Presidente della Rai, ad opera del Consorzio Renzi-Berlusconi, è il primo duro stop all’irresistibile ascesa.

Cosa appare evidente finora? Luigi Di Maio fatica a far passare il suo “decreto dignità”, già di per sé insufficiente a delineare un cambio vero di rotta nelle politiche del lavoro dopo il massacro renziano, i più rilevanti problemi economici, ovvero deficit pubblico, inadeguatezza di risorse, con l’imminente conclusione del quantitative easing, impediscono al momento di produrre fatti concreti sulla maggiore delle promesse elettorali: il reddito di cittadinanza. I dossier che scottano – Tav, Tap, Ilva – sono tutte bombe innescate sotto il consenso pentastellato, mentre il ministro degli Interni, vice premier e leader leghista senza rivali, si trastulla gonfiando il petto sugli immigrati ma di fatto fa il “cane da guardia” di Berlusconi e degli interessi forti ponendo il veto ad ogni intenzione radicalmente riformatrice di Di Maio & C.

Per cui, se non cambiano a breve alcuni scenari e non avviene qualcosa di nettamente diverso – la vicenda Rai è il primo segnale – assisteremo ad un logoramento progressivo dei cinquestelle e ad un rafforzamento corrispondente ed esponenziale, di Salvini.

Quanto può durare questo gioco? Non si sa ma potrebbe interrompersi presto, appena uno dei due contraenti dovesse accorgersi che, o gli costa troppo continuare (M5S) oppure è il momento buono per incassare il dividendo (Lega), potrebbero entrambi calcolare che è venuto il momento di tornare alle urne. Incombono poi le elezioni europee (maggio 2019) e fino ad allora sarà difficile che possa esplodere una crisi di governo irreversibile.

Cosa fa nel frattempo la sinistra maciullata alle Politiche e con replica alle recentissime elezioni amministrative? Ufficialmente poco o nulla: Matteo Renzi ha indicato nella dieta “pop corn” la linea politica e il luogotenente (meglio nullatenente) Maurizio Martina, cui sono state momentaneamente lasciate in custodia le spoglie mortali del Pd, fa il suo dovere di bravo soldatino, senza toccare nemmeno un posacenere in attesa che il prossimo nuovo proprietario venga a prendere possesso del partito.

Ovviamente quando si parla di nuovo segretario del Pd, bisogna necessariamente misurare la distanza massima da Renzi in centimetri, perché oltre un metro non si va. Sconfitta dopo sconfitta e congiura dopo congiura, il toscano è riuscito ad entrare in ogni più piccola fibra dello sconquassato corpo del fu Pd, e ha operato non una semplice mutazione genetica, ne ha letteralmente bombardato i cromosomi, cosicché di quel che un tempo era un seppur vago riferimento ad un partito tardo social-liberal-democratico, ora si tratta di un perfetto condominio neo democristiano, con tanto di officianti e sacrestani, i nomi sono noti non è necessario ripeterli.

In questa situazione è facile immaginare cosa accadrà se nulla cambia: a maggio alle Europee i risultati di marzo 2018 saranno replicati con rovesciamento di primato tra Lega e M5S, il Pd “rinfrancato” dalla dura opposizione, con Renzi che tornerà alla carica al grido “riprendiamoci il quaranta per cento!” si collocherà invece che al diciotto, forse perfino al venti per cento. Così ci si prepara al redde rationem delle sicure elezioni politiche prossime venture per il primo governo a guida Salvini, dopo settantacinque anni dalla caduta del Fascio.

Esiste un’alternativa? Allo stato delle cose non credo, si tratterebbe di concepire un radicale cambio di prospettive e sicuramente fin tanto che Renzi vive (politicamente s’intende) nulla di serio può cambiare, forse nemmeno con un suo allontanamento che mi sembra allo stato del tutto improbabile. A sinistra di tutto si odono sussulti di ultime agonie, oppure vagiti di future nascite premature di pargoli gracili e malaticci; ogni aspirante leader s’immagina chiuso nel suo microcosmo di riferimento, circondato dall’affetto dei suoi “cari” e dei suoi “bravi” in quella parte del campo, al massimo si può combattere per la “Secchia rapita” .

Tempi duri, ragazze e ragazzi, occorre indossare lo scafandro e aspettare che l’onda lunga arrivi e ci sommerga, poi forse dopo lo Tsunami definitivo, se qualche specie di sinistra sopravvivrà al diluvio, con santa pazienza si potrà pensare a ricostruire.

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