C’era pure un progetto edilizio da realizzare insieme, tra calabresi e siciliani. E lui, Giovanni Savalle, “poteva parlare in nome e per conto” di Michele Alagna, commercialista di Castelvetrano, cognato del superboss Matteo Messina Denaro, attorno al quale negli ultimi mesi continua a stringersi il cerchio dell’Antimafia con operazioni che stanno facendo terra bruciata del cerchio che protegge la sua latitanza e il patrimonio. Un affare a tre, con quota pari del 33 per cento. Il ragioniere e imprenditore 53enne, al quale giovedì mattina la Guardia di finanza e i carabinieri del Ros hanno sequestrato quasi 63 milioni perché ritenuto uno dei “cassieri” della primula rossa di Cosa Nostra, è stato inguaiato anche dalle parole di un collaboratore di giustizia, Marcello Filoreto Fondacaro, medico affiliato alla cosca ‘ndranghetista dei Piromalli.

Ci sono le sue dichiarazioni nel decreto di sequestro firmato dalla Sezione misure di prevenzione del tribunale di Trapani, presieduta dal giudice Piero Grillo, oltre ad altri incontri e altre tracce che ricollegano, secondo la Dda di Palermo, Savalle agli ambienti più vicini del latitante numero 1 di Cosa Nostra. Compresa l’assunzione – l’unica, tra l’altro – della nipote del boss, Maria Guttadauro, figlia di Rosalia Messina Denaro, nel consorzio Sicilia Xenios. È il 13 ottobre 2015 quando Fondacaro si siede di fronte ai pm Andrea Tarondo e Carlo Marzella e riferisce dei “rapporti” di Savalle “con un commercialista di Castelvetrano, cognato di Matteo Messina Denaro”, ovvero Alagna, secondo gli inquirenti, e “della presenza di cointeressenze mafiose in taluni programmati progetti imprenditoriali”.

È Alagna, racconta Fondacaro agli inquirenti, che “gli indicò Giovani Savalli come punto di riferimento di un progetto per la realizzazione di un porto turistico a Mazara del Vallo sostenuto anche da Nino Sammartano”. Erano loro, si legge nel decreto, ad avere “i contatti necessari per i finanziamenti della Comunità Europea e si erano già fatti finanziare la realizzazione di resort rispettivamente sul lungomare e nella campagna di Mazara del Vallo”. Non solo, perché Fondacaro spiega anche di aver chiesto a Savalle “se ci fosse un imprenditore interessato a realizzare un villaggio turistico in un suo terreno a Ricadi, in Calabria, vicino a Capo Vaticano, in quanto in quel periodo era stato contattato da “Viaggi del Ventaglio” che aveva interesse a realizzare un resort per prenderlo in gestione”, ma lui “all’epoca lui non aveva il denaro necessario per realizzarlo”.

“Lui – dice Fondacaro ai magistrati – mi disse che avremmo potuto fare come una permuta, cioè il Patti (Carmelo Patti, ex dominus di Valtur deceduto nel 2016) avrebbe incamerato lo mia area edificabile e dall’altra parte mi avrebbe proposto di realizzare qualcosa nella zona dell’agrigentino, che so che è stato portato a termine. Un grosso complesso immobiliare sul mare, adesso non ricordo nemmeno il nome del…”. Il pm a quel punto chiede cosa c’entri il cognato di Messina Denaro e Fondacaro sostiene che “era il placet della mafia territoriale diciamo, era colui che dava l’assenso al Patti per cointeressenza economica nell’affare logicamente. C’era una cointeressenza da parte di Matteo Messina Denaro in questa operazione che portava avanti Patti. Così mi fu descritta la cosa”. I quattro, aggiunge, tennero a Castelvetrano un incontro sul tema. “Tale progetto poi non venne attuato con la partecipazione del Filoreto – aggiunge il giudice – anche se poi il complesso turistico fu realizzato nella zona tra Sciacca e Ribera“.

Il ruolo di Matteo Messina Denaro, chiedono i pm, da chi fu “certificato”? “Le dico subito – risponde Fondacaro – Giovanni Savalli, che era l‘interlocutore con questi soggetti di Castelevetrano, tra cui anche il Matteo Messina Denaro, mi disse che per quanto riguardava la parte di Matteo Messina Denaro l’avrebbe rappresentata il commercialista, ragioniere, cognato di… del Matteo”. Alagna, insomma. E le quote del 33%, aggiunge poco dopo, sarebbero state spartite tra lo stesso Fondacaro, “Giovanni Savalli e il Patti” e “l’altro 33% rappresentato da questo commercialista di Castelvetrano dove c’era lo presenza di Matteo Messina Denaro”.

Con Alagna, Fondacaro spiega di essere incontrato “due, tre volte” perché “poi mi fu dato come riferimento Giovanni Savalli”: “Quindi io incontravo Giovanni Savalli come se incontrassi lui”, dice ai magistrati. Secondo il racconto di Fondacaro, Alagna “disse: ‘Quando hai bisogno di qualcosa da parte mia, non c’è bisogno che vieni sempre a Castelvetrano, potete parlare anche con Giovanni a Mazara‘”.

Nelle carte, si legge che Fondacaro “ha riferito che gli venne proposto anche di partecipare alla realizzazione di un impianto di smaltimento rifiuti ospedalieri, sulla base di un brevetto di un soggetto di Partanna, sempre con le cointeressenze economiche sopra indicate. Quest’altro progetto ebbe un seguito con una delibera di Giunta Regionale in Calabria dove dovevano essere realizzati cinque inceneritori“. Anche sulla base di queste dichiarazioni, secondo il Tribunale di Trapani, si deduce che lo sviluppo delle attività imprenditoriali di Savalle “si rivela funzionale agli interessi” di Cosa Nostra.

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