Dalle trasmissioni televisive come “La vita in diretta” o “Un giorno in pretura” al carcere, passando per i convegni in cui discettava sui problemi dei detenuti. Frequentava il mondo dell’antimafia ma, in realtà, era al servizio della ‘ndrangheta. La criminologa Angela Tibullo di Polistena voleva essere la “regina della penitenziaria” e per questo si prodigava per corrompere i periti che dovevano certificare l’incompatibilità al regime carcerario degli affiliati alla cosca Cacciola di Rosarno. Ad alcuni offriva soldi ad altri, invece, garantiva prestazioni sessuali con le escort messe a disposizione dalle famiglie mafiose. Con l’accusa di concorso esterno con la ‘ndrangheta c’è anche lei tra i 45 indagati destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dai gip di Reggio Calabria che hanno confermato i decreto di fermo disposti a inizio luglio dalla Dda nell’ambito dell’operazione “Ares” contro le cosche della Piana di Gioia Tauro che avevano messo in piedi un grosso traffico di cocaina dal Sudamerica e di hashish dalla Spagna e dal Marocco.
Accogliendo la richiesta di arresto formulata dal procuratore Giovanni Bombardieri, dall’aggiunto Gaetano Paci e del sostituto della Dda Adriana Sciglio, secondo il giudice per le indagini preliminari Pasquale Laganà quello della criminologa Tibullo è stato “un consapevole, specifico contributo, efficiente al rafforzamento-conservazione dell’associazione di stampo mafioso”. Per i pm, infatti, “emerge un quadro a dir poco sconcertante circa le capacità della professionista di condizionare la ‘gestione’ dei detenuti”. Il sistema creato dalla Tibullo garantiva agli uomini dei clan “indebiti vantaggi penitenziari, o sotto forma di riconoscimento di un regime cautelare più favorevole o sotto forma di altri illeciti benefici, tra i quali: il trasferimento verso un carcere ritenuto più consono alle esigenze dell’assistito, l’accelerazione dei tempi relativi al rilascio del braccialetto elettronico e la fuoriuscita di messaggi riservati da parti di detenuti verso l’esterno”.
Il sistema è stato svelato da un perito che nei mesi scorsi era stato incaricato dal Tribunale di Reggio Calabria di verificare le reali condizioni psicofisiche del boss Teodoro Crea di Rizziconi che, in sedia a rotelle, si trova detenuto al 41 bis nel carcere di Opera a Milano. Dopo la visita medica alla quale la Tibullo ha partecipato come consulente di parte, la criminologa ha pranzato con il perito del tribunale sollecitando “reiteratamente una perizia favorevole al suo assistito”. Al perito (che della tentata corruzione ha avvertito subito i magistrati della Dda di Reggio Calabria) disse “che se fosse riuscita a far scarcerare il Crea sarebbe divenuta la ‘regina della penitenziaria”’. “Dopo aver terminato il pranzo, – è scritto nel verbale della denuncia – prima di salutarci la Tibullo divenne più esplicita, dicendomi che avrebbe saputo compensarmi adeguatamente, ove avessi aderito alle sue richieste di valutare le condizioni del Crea incompatibili con il carcere. Per invogliarmi ad accettare la sua proposta, mi specificò che tanti altri periti avevano accettato le sue richieste e nessuno di loro era rimasto insoddisfatto della ricompensa ricevuta. Mi fece il nominativo di molti medici che aveva saputo ricompensare adeguatamente”.
A uno di loro “la stessa mi disse di aver ripagato, non con l’erogazione di denaro, ma con la prestazione di escort. La Tibullo si è vantata, altresì, di aver ottenuto di recente una perizia psichiatrica favorevole alla scarcerazione per un suo cliente che aveva una patologia assolutamente blanda. Questo perito era stato, invece, compensato in denaro”. Le indagini condotte dai carabinieri sono riuscite a dimostrare il carattere di non occasionalità di tali condotte. Le intercettazioni, infatti, hanno confermato i sospetti sulla criminologa Tibullo che, stando alle accuse, avrebbe aggregato professionisti, medici o funzionari compiacenti che si sono rivelati funzionali ad agevolare il conseguimento degli ingiusti vantaggi per i propri assistiti.
“Se tu sei in grado di farlo trasferire, allora ok. Sennò lasciamo perdere”. Chi non si prestava ai desiderata della “dottoressa” veniva minacciato di essere escluso da successivi “affari”. “Il modus agendi – scrive il gip – della Tibullo, in occasioni delle numerose intercettazioni ambientali e telefoniche che la vedono protagonista, appare, ictu oculi, improntato all’asservimento dell’attività professionale esercitata ai bisogni ed alle esigenze dei propri assistiti, soggetti indagati, imputati o condannati in stato detentivo carcerario o domiciliare. Per comprendere la pervasività del sistema gestito dall’indagata Tibullo e l’elevato grado di considerazione di cui la stessa beneficiava presso professionisti (interni ed esterni alla struttura carceraria), appartenenti alle Forze dell’ordine e semplici impiegati, basti considerare che le intercettazioni hanno dimostrato l’estrema disinvoltura con la quale l’indagata consultasse telefonicamente gli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria della Casa Circondariale di Roma Rebibbia (Ferdinando Testa e Franco Volpe)”.
Anche grazie a loro (non arrestati nell’operazione di oggi), infatti, stando all’inchiesta della Dda, la criminologa riusciva a sapere tutto quello che interessava ai suoi “clienti” all’interno della carcere romano dove faceva arrivare pizzini e messaggi agli affiliati della ‘ndrangheta. Il “core business” della Tibullo, in sostanza, era “offrire ai detenuti benefici penitenziari non dovuti”. Ecco perché le intercettazioni con gli agenti della polizia penitenziaria, ma anche con il personale dell’ospedale militare di Roma (Roberto La Vecchia) e con il medico Francesco Politi, secondo i giudici “offrono uno spaccato a dir poco inquietante della facilità ed evidente disinvoltura con la quale l’indagata Tibullo riuscisse ad ottenere notizie riservate sullo status di detenuti e sul contenuto della loro cartella clinica” in modo da fargli ottenere “la concessione degli arresti domiciliari con procedure di controllo elettronico”. Un servizio questo che la crimonologa svolgeva dimostrandosi “perfettamente consapevole di essere un prezioso strumento per i membri del sodalizio”.