Lo scorso aprile i conservatori di Mariano Rajoy erano saldamente al governo, il partito socialista (il Psoe) sembrava stretto all’angolo, agonizzante, come tante altre socialdemocrazie europee a corto di idee e di ossigeno di fronte all’impetuosa avanzata dei movimenti populisti. In poche settimane lo scenario si è ribaltato. Mariano Rajoy, dopo decenni di impegno politico, ha lasciato La Moncloa, sede dell’esecutivo, tornando a fare il “registrador” negli uffici della conservatoria immobiliare della capitale e Pedro Sánchez ha rianimato la sinistra spagnola prendendo la guida di un governo fragile nei numeri ma apprezzato dall’opinione pubblica. Lo attesta un sondaggio del Cis – uno dei principali istituti di statistica – il quale attribuisce un 30% al Psoe (sette punti in più rispetto ad aprile) e una percentuale di circa il 16% alla sinistra radicale di Podemos, con i partiti di centro (Ciudadanos) e di destra moderata (il Partido popular) che raggiungono entrambi il 20% del gradimento nelle intenzioni di voto. Secondo gli analisti sono gli astenuti a spingere in alto il premier Sánchez.
In un Paese dove è sentita la partecipazione civica, nel quale è più facile organizzare un corteo o l’occupazione di uno spazio pubblico che un evento virtuale sui social, è tornato l’orgoglio di sinistra. L’apatia che attanagliava parte dell’elettorato tradizionale è alle spalle, smossa dalla luna di miele che segue l’insediamento di ogni esecutivo ma anche dal cambio di passo impresso dal leader socialista. La condotta solidaristica del governo nella gestione della crisi della nave Aquarius ha convinto, anche se – dopo disoccupazione e corruzione – il tema dell’immigrazione è avvertito dall’opinione pubblica come una questione spinosa. Negli ultimi mesi si è registrato un deciso aumento di arrivi di immigranti lungo le coste iberiche, proprio mentre il fenomeno decresce nel resto d’Europa, il decremento di partenze dalle coste libiche ha portato a una impennata di imbarchi di sudsahariani dal litorale marocchino. Le imbarcazioni dei migranti ora puntano la prua verso lo stretto di Gibilterra, i dati lo confermano: dall’inizio dell’anno sono oltre 18mila gli immigranti recuperati dalle Ong e dalla Guardia costiera spagnola, un incremento di oltre il 170% rispetto allo stesso periodo del 2017. Il premier socialista sarà chiamato a conciliare i valori solidaristici con numeri che spaventano, rivedendo la regolamentazione dei flussi e la politica dell’accoglienza e anche i rapporti – spesso agitati – con il dirinpettaio Marocco del re Mohammed VI.
Pedro Sánchez, nei primi mesi di presidenza, ha cambiato rotta anche sulla questione catalana. Si è passati dalla politica muscolare di Rajoy al dialogo con le formazioni separatiste. Una diffidenza reciproca serpeggia ancora nelle relazioni tra Madrid e Barcellona, tuttavia la mano tesa de La Moncloa verso un più incisivo decentramento fiscale e le aperture per un nuovo Statuto di autonomia hanno allentato le tensioni sociali e istituzionali. Nell'”agenda del cambio” – una sorta di governo del cambiamento non sostenuta dalle formalità del contratto scritto – il premier persegue una decisa lotta alle frodi fiscali e l’ambizione di vietare per legge il ricorso ai condoni fiscali. Un programma forse troppo ambizioso in un Paese che nel ranking mondiale dell’evasione si colloca al terzo posto, con una economia sommersa che vale il 17% del Pil, preceduta nella lista nera solo dalla Grecia e dall’Italia. Guarda in ben altra direzione il nostro Paese, il contratto prevede di fatto un nuovo condono, che a questo giro presenta un nome tranquillizzante: la “pace fiscale“. Amen.