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Steve Jobs raccontato dalla figlia: “Quando mi disse “puzzi di gabinetto” e quando a pranzo con Bono ammise una cosa mai detta prima”

L’inventore di Apple ritratto dalla 40enne erede Lisa Brennan-Jobs sulle pagine di Small fry (in uscita nelle librerie americane dal 4 settembre 2018) non è proprio un fulgido esempio di figura paterna

Lisa, puzzi di gabinetto”. L’affermazione è di Steve Jobs in punto di morte verso la figlia Lisa giunta al suo capezzale. Insomma: stay hungry, stay fooolish, ma anche stay polite. L’inventore di Apple ritratto dalla 40enne erede Lisa Brennan-Jobs sulle pagine di Small fry (in uscita nelle librerie americane dal 4 settembre 2018) non è proprio un fulgido esempio di figura paterna.

Concetto evocato già dal titolo, questo “pesce piccolo”, questo “soldino di cacio” al cospetto dell’uomo che si era ‘dimenticato’ di lei fino a quando ha compiuto nove anni e dopo che l’obbligo un test del DNA ha confermato che fosse sua figlia. Lisa nacque nella primavera del 1978 in una fattoria dell’Oregon di proprietà di un amico dei suoi genitori. Mamma Chrisann Brennan e papà Steve avevano 23 anni, ma lui presto rifiutò di riconoscere la paternità della bimba, pur andando spesso a trovarla. “Sai chi sono?”, chiese ad una Lisa treenne l’inventore del Mac togliendosi i capelli che ancora aveva dagli occhi. “Sono tuo padre, mi disse. Un po’ come se fosse Darth Vader, mi spiegò mia mamma quando più tardi mi raccontò questa storia. ‘Sono una delle persone più importanti che tu possa mai conoscere’ ”. Rapporto travagliato, discontinuo, complicato, tra i due. Jobs ci mise 27 anni prima di ammettere che Lisa era sua figlia legittima.

Anche se in molti avevano già compreso tutto. Bastava guardare come Jobs aveva chiamato il primo pc che aveva inventato: Lisa. “Ad un certo punto, Bono chiese a mio padre: ‘allora, il computer Lisa si chiama così per lei?’. Ci fu una pausa. Mi preparai alla dura risposta che mio padre mi aveva già dato più volte in passato. Mio padre esitò, guardò il suo piatto per diversi secondi e poi guardò negli occhi Bono: ‘Si, è così’. Ero in piedi, mi sedetti immediatamente sulla sedia. ‘Lo sapevo’, disse Bono. ‘Sì’ disse mio padre. Studiai la faccia di mio padre. Cosa era cambiato? Perché lo aveva ammesso ora, dopo tutti questi anni? Certo che quel computer aveva il mio nome! Ma in quel momento la sua bugia proseguita per anni sembrava ancora più assurda. A dire il vero, però, mi sentii sollevata’ ”. Nei vent’anni di mezzo i due non si frequentano esageratamente.

Lisa racconta degli incontri fatti di norma di mercoledì (dove Jobs portava la figlia a scorrazzare in Porsche, al mare e al pattinaggio) ma anche l’ombra solenne del papà genio che però non voleva dichiarare di essere suo padre.  “‘Ho un segreto’, raccontai ai miei compagni di scuola. “Mio padre è Steve Jobs”. “Chi è?”, chiese uno. “Ha inventato il personal computer. Vive in una tenuta e guida una Porsche cabrio. Ne compra una nuova ogni volta che quella che ha si graffia. Ha anche dato il mio nome a un computer”.

Infine, il capitolo della morte. Quello più doloroso, ma anche quello che scoperchia ulteriormente la traccia di una vita vissuta familiarmente incompleta per non si sa quale motivo. “Tre mesi prima della morte di mio padre iniziai a portare via quello che trovavo in casa sua. Andavo in giro a piedi nudi e mettevo in tasca quello che prendevo. Alla fine, mi sentivo sazia”, ha spiegato la ragazza. Stessi atti compiuti anche durante uno degli ultimi giorni di vita di Jobs. Pelle ossa, sdraiato con le gambe piegate “come una cavalletta”, con a fianco il monaco buddista Segyu Rinpoche, il fondatore di Apple passa i suoi ultimi giorni, mentre Lisa passeggia in silenzio e a piedi nudi per casa sua. L’episodio, pubblicato su Vanity Fair, tratto dal libro Small Fry, si conclude con la ragazza che entra in bagno e spruzza in aria il profumo di un costosissimo spray per l’ambiente al profumo di rose. Poi esce, abbraccia il padre e Jobs che nemmeno riesce a stare in piedi la guarda e dice: “Lisa puzzi di gabinetto”.