“No, non mi piace il vittimismo che ci contraddistingue: è evidente che da noi per raggiungere gli obiettivi spesso serve più energia che altrove. Ma impegnarsi per il proprio Paese dà più gusto e fa decuplicare gli sforzi. Il vittimismo è l’anticamera dell’inedia”. Nella sua carriera Alfio Quarteroni ha visitato oltre 100 università. È un matematico di fama mondiale, ha applicato i suoi studi e modelli in vari campi (dai terremoti allo spazio), ha fatto vincere con i suoi calcoli allo scafo di Alinghi la Coppa America per ben due volte (un Paese senza mare, la Svizzera). E ora ha deciso di tornare in Italia, al Politecnico di Milano, per la sua nuova sfida: unire big data e medicina per spiegare il cuore con le equazioni matematiche. “In Italia si può fare ottima ricerca, ci sono molte università eccellenti e i nostri ricercatori sono fra i migliori al mondo”, avvisa.
Partiamo dalla fine. Perché il direttore di un prestigioso istituto dell‘Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna dovrebbe tornare in Italia spendendo un grant ERC da quasi 2,5 milioni di euro? “Nel 2002 ho fondato il MOX, un laboratorio al Politecnico di Milano – spiega Quarteroni – Sapevo di trovarvi il contesto, le competenze e l’entusiasmo giusto per realizzare iHEART. Essendo poi questo un progetto potenzialmente di grande impatto sociale, mi sembrava bello svilupparlo nel mio Paese”. La voglia di rientrare, insomma, era tanta. “A 65 anni nelle università federali svizzere si smette – racconta Quarteroni – Pur avendo ricevuto proposte interessanti da prestigiose università straniere, dagli Stati Uniti alla Cina, non ho avuto dubbi: alla fine è stata una scelta quasi naturale”.
A 33 anni professore ordinario alla Cattolica di Brescia, a 38 anni negli Usa. La passione per la matematica viene da lontano. Eppure sono stati i commissari dell’esame di maturità a convincerlo a iscriversi all’università, quando “avevo già un posto in banca”, sorride il professore. La prima volta che ha lasciato l’Italia, invece, Quarteroni aveva 27 anni e un pass per la Sorbonne: “Condividevo lo studio con ricercatori di cinque Paesi diversi. Dopo un mese un collega della Tokyo University mi chiese con grande delicatezza se fossi davvero italiano, perché lavoravo decisamente troppo!”, ricorda. Due anni dopo è arrivata la chiamata dalla Nasa.
E l’Italia? “Da noi c’è ancora troppo spazio per la raccomandazione – risponde Quarteroni – essere figli di o parenti di paga ancora troppo. Mi pare tuttavia che, quantomeno in ambito universitario, negli ultimi anni si sia fatta molta strada. Grazie anche ai sistemi di valutazione sempre più basati su parametri oggettivi. È sempre più raro che a vincere concorsi siano candidati inadeguati – aggiunge – Anzi, vista la grande pressione di eccellenti ricercatori emigrati e vogliosi di rientrare, succede di frequente che nei nostri concorsi ci siano candidati estremamente meritevoli in soprannumero rispetto alle effettive disponibilità di posizioni aperte”.
Il problema italiano, insomma, è strutturale. “Manca ad esempio ancora un’Agenzia Nazionale della Ricerca (come la NSF americana) che consentirebbe di realizzare un sistema di valutazione autorevole e di indirizzo strategico di cui il nostro sistema politico potrebbe giovarsi”, spiega il matematico. E ancora: stipendi troppo bassi, burocrazia opprimente, leggi non sempre facilmente interpretabili, mancanza di chiarezza: “Tutti fattori che scoraggiano anche i talenti stranieri a scegliere il nostro Paese”.
Eppure sono tanti i lati positivi, spesso ignorati. A partire da un sistema educativo che, “a dispetto della nostra attitudine autocritica, continua a sfornare ragazzi dall’eccellente preparazione”. Per Quarteroni ci sono “decine di università fantastiche in Italia che consentono di uscire con preparazioni straordinarie e assolutamente superiori a quelle della stragrande maggioranza delle università straniere, europee ma anche statunitensi”. Poi, per il dottorato, è quasi naturale considerare anche la scelta di partire. “È fondamentale che tanti giovani prendano la via dell’estero. Impareranno così a lavorare e a vivere in un ambiente multiculturale. E questo è un valore inestimabile per la nostra società, perché quelli che rientreranno porteranno conoscenza, esperienza e networking”.
Il futuro per il professor Quarteroni si chiama Milano. “Abbiamo il MOX, e poi lo spinoff MOXOFF – aggiunge –. Abbiamo un corso di Ingegneria Matematica che tutta Europa ci invidia”. Il progetto iHEART durerà 5 anni e consentirà di finanziare quasi 50 tra dottorandi e post doc provenienti da tutto il continente. “Quando ero all’estero i ricercatori italiani erano i migliori – ricorda – si distinguevano per la capacità di guardare l’infinito. I nostri hanno una marcia in più e, spesso, quel sano e ingenuo idealismo che li accende di passione quando si trovano per le mani un problema interessante in un ambiente competitivo. E – conclude – una sana voglia di dimostrare a tutti che non siamo (più) il Paese della pizza e del dolce far niente”. Prima di finire l’intervista, il professore ci tiene ad aggiungere una cosa: “Sono nato in una famiglia contadina senza cultura (mio padre ha smesso dopo la seconda elementare, mia madre dopo la terza), ma questo non mi ha impedito di studiare e laurearmi in una prestigiosa università. Per questo sono infinitamente grato al mio Paese”.
Credits: Alfio Quarteroni, MOX-PoliMi e CMCS-EPFL