Prosegue il nostro viaggio a bordo della nave Aquarius. Il terzo giorno di navigazione è quello della preparazione al soccorso in mare. L’arrivo in zona Sar è previsto per stanotte. “A quel punto cominceranno le guardie. A turno si resterà di vedetta per un’ora e mezzo a testa”. E, in caso di avvistamento di un’imbarcazione in difficoltà, di un naufragio, di persone in mare, “non chiederemo autorizzazione a nessuno per intervenire. Semplicemente lo farà, come richiede la legge”
Sono le quattro del pomeriggio quando il wi-fi di bordo finalmente si risveglia – almeno per un po’ – e il Gps certifica: da un lato Tripoli, dall’altro Marsala. Il mare sembra avere un altro volto. Il blu è diverso. La stessa consistenza dell’acqua sembra essere cambiata. “Sul colore hai ragione”, dice serio Eduard, logista di Medici senza frontiere. “Il resto è una tua percezione”. Lui è un marinaio. Ha vissuto e lavorato per qualche anno sui pescherecci nella Manica, racconta. “Se hai lavorato in mare in quella zona, vieni considerato affidabile in questo lavoro”, mi spiega. Il suo sguardo a volte molto serio è ora, di fronte a una neofita del mare, comprensivo. “Il tempo, in quest’area, può cambiare da un momento all’altro. Ma non c’è il problema delle correnti. Nella Manica sì”. E giù a spiegare il funzionamento dei nodi, delle navi, del vento, delle correnti, della pesca. I gradi di classificazione di maltempo e tempeste, come reagiscono le imbarcazioni a seconda della loro grandezza. Cosa cambia a seconda del verso in cui dondolano. “Questa è una nave molto stabile”, mi assicura. “Certo che ho avuto paura, e spesso, quando lavoravo nella Manica e il mare era brutto. La paura è sana. Insieme alla rabbia, in quelle occasioni ti fa reagire e ti dà energia”.
Nella notte la nave Open Arms dell’ong spagnola Proactiva ha soccorso 87 persone, di cui otto minori. Erano alla deriva da due giorni. Se ne parla nel corso della riunione mattutina su nave Aquarius. “In un’ideale staffetta umanitaria, Open Arms vorrebbe forse guadagnare un po’ di tempo ora e attendere il più possibile il nostro arrivo. Altrimenti non resterebbe nessuno a salvare vite”. L’arrivo di Aquarius in zona Sar è previsto per stanotte, al più tardi domani mattina. “A quel punto cominceranno le guardie”, spiega Tanguy, bretone dall’espressione paciosa: uno sguardo che diventa incredibilmente serio quando vuole assicurarsi che tutti abbiano ascoltato e compreso chiaramente. È il “deputy Sar co”, ovvero chi coordina il momento del soccorso in mare e le lance che si avvicineranno a un’eventuale imbarcazione in difficoltà. Nick, invece, è il Search and rescue coordinator: coordina l’operazione dal ponte.
Il terzo giorno di navigazione è quello della preparazione al momento che dà il senso alla missione: quello del soccorso in mare. Protagonista la squadra Sar di SOS Mediterranée: Nick, Tanguy, Basile, Baptiste, Dragos, Alessandro, Viviana, Hassan, Marc, Jeremie e Theo. Anche il fotografo dell’organizzazione, Guglielmo – 28enne palermitano – è parte attiva: in caso di necessità dovrà lasciare la macchina fotografica e dare una mano mentre è a bordo di uno dei gommoni dell’operazione. Da poppa a prua, il team passa la mattinata a spostare, montare, gonfiare, disporre, verificare. Per poi, dopo pranzo, animare un incontro di “teoria SAR” in cui Tanguy spiega, lavagna, pennarello e modellini di barchetta alla mano, la posizione delle lance in mare: come si muoveranno, chi sarà dove e chi farà cosa.
Da stanotte “a turno si resterà di vedetta per un’ora e mezzo a testa”. E, in caso di avvistamento di un’imbarcazione in difficoltà, di un naufragio, di persone in mare, “Aquarius non chiederà autorizzazione a nessuno per intervenire. Semplicemente lo farà, come richiede la legge”. Quella dell’autorizzazione al IMRCC (Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo) di Roma “era una consuetudine non scritta, non un obbligo”, spiegano. Assicurava coordinamento e regolare svolgimento delle operazioni finché tutti gli attori coinvolti parlavano la stessa lingua. Una consuetudine valsa fino a prima della vicenda che a giugno ha portato la nave Aquarius a Valencia. Ora che “il contesto del Mediterraneo Centrale” è cambiato così tanto, “faremo direttamente quello che richiede la legge: fornire immediata assistenza a chi è in pericolo di vita in mare”.
Il “drill”, il segnale, scatta nel primo pomeriggio: tutti – le equipe di SOS e di MSF e i giornalisti a bordo – indossano casco, giacchetto di salvataggio, pantaloni lunghi, magliette possibilmente con le maniche lunghe: “Durante un soccorso potrebbe capitare di restare in mare, sotto al sole, per ore”, spiega Tanguy. La simulazione vera e propria, con tanto di lance a mare e di persone a bordo nelle rispettive postazioni per assicurare efficienza e sicurezza (“Quella del giornalista sul gommone è una posizione fissa. Non ti devi muovere”, spiega serio il bretone guardandoti dritto negli occhi) è prevista per oggi. Ragioni di sicurezza: ieri Aquarius si trovava su una traiettoria molto trafficata. Mentre il primo giorno di navigazione aveva incrociato solo giovani delfini che giocavano in mare, e qualcuno aveva anche avvistato una balena, ieri, attraversando il Canale di Sicilia, erano tante le navi intorno.
È poi la volta del team di Medici Senza Frontiere, con un meeting obbligatorio per tutte le persone a bordo: quello sul primo soccorso. David, il medico, spiega insieme alle due infermiere Catherine e Aoife e a una delle ostetriche, Nina, le principali tecniche di rianimazione su adulti e bambini. “Sai come capisci qual è il ritmo giusto per le pressioni del massaggio cardiaco? Cantando ‘Stayin’ Alive’”, dice David, mentre ne dà dimostrazione pratica con apposito manichino. Il trucco per ricordare sembra efficace: provano tutti, vogliono tutti sapere. Perché non si sa mai nella vita, e perché hanno scelto di essere su questa nave.
Il sole tramonta questa volta quasi alle spalle di Aquarius: la traiettoria sta cambiando, si vira a est. E, guardando il mare, cominciano i racconti. Di soccorsi e naufragi, nel tentare di immaginare cosa voglia dire rimanere stipati su una barca di legno o su un gommone – o direttamente in acqua, naufragati – in solitudine e circondati da nient’altro che il mare nero della notte. “Quando ero su Vos Prudence (la nave SAR MSF che ha operato fino a un annetto fa, ndr), la notte ci capitava di vedere quelli che chiamavamo gli ‘angeli del mare’: pesciolini che saltano e seguono la luce delle barche”, racconta Ben. È uno dei due mediatori culturali e sarà a bordo di una lancia in caso di soccorso: è suo, e solo suo, il primissimo contatto con i migranti, suo il messaggio per spiegare che si tratta di un salvataggio e cosa accadrà alle persone soccorse in mare. “E i delfini spesso vengono accanto alla barca a sfregarsi il muso per pulirsi. Chissà se li vedremo”