Il chiasso delle spiagge di Gallipoli arriva ovattato. Di barocco ce n’è poco, ma c’è tanto di bellezza pulita, con gli orti fin dentro il paese, qualche insegna arrugginita, un ristorante che resiste e parla di filosofia. A Giuliano di Lecce gli abitanti sono poco più di 300, ma è sempre un gran da fare tra raccolta fondi per restauri, il sostegno alla squadra dell’oratorio, i laboratori con i migranti accolti da pochi mesi. A Leuca si può arrivare anche a piedi. Fino a Lecce è più complicato. È un girotondo di borghi il Sud Salento, uno accanto all’altro a non più di due chilometri di distanza, risalendo fino a Otranto. Un paesaggio paziente, tanti campanili e il rischio di un effetto presepe. Mancano sempre più abitanti. Sempre più giovani, sempre più bambini. Fra qualche decennio rischiano di mancare anche gli anziani.
Scuole e uffici postali chiudono senza sosta
È il pezzo di Salento che sta scomparendo. Per prime hanno chiuso le scuole, medie ed elementari. Poi, gli uffici postali. Lavorano a singhiozzo gli ambulatori medici e l’anagrafe. A restare sempre aperti, di solito, sono solo i cimiteri e molto è il fai da te. Il fenomeno dello spopolamento morde ampie fette del territorio, frazioni in primis ma anche interi comuni. Certo, tutto il Sud Italia, come testimoniano dati Istat e Censis, ne soffre. Ma nella provincia di Lecce accade qualcosa di anomalo: un’ampia parte si svuota a fronte di un incremento complessivo della popolazione, che negli ultimi sedici anni è aumentata di 11.252 residenti. Succede perché c’è un doppio travaso in corso: lo storico trasferimento verso il nord Italia, ma anche un esodo dal sud e dall’est del Tacco verso il capoluogo e il suo hinterland, che crescono ai ritmi di un aggregato metropolitano. È una storia già vista sull’Appennino, ad esempio, o in Sardegna, isola “a ciambella”, vuota al centro e rigonfia lungo la costa. Il Leccese, invece, sta assumendo la forma di una pera rovesciata. Ma finora in pochi se ne sono accorti. E in pochi si sono dati una mossa.
I dati dello svuotamento
Capo di Leuca e arco levantino: i segni della sofferenza si vedono soprattutto in queste aree. Sono in declino da almeno 25 anni, con bilanci demografici in profondo rosso e trasferimenti altrove di residenza, ciò che il più delle volte riguarda la fascia dai 20 ai 40 anni, quella cioè che dovrebbe far figli. È un cane che si morde la coda. Stando all’elaborazione di dati Istat nel periodo compreso tra il 2001 e il 31 dicembre 2017, l’emorragia più consistente si è avuta a Taurisano, con -674 abitanti; seguono Gagliano del Capo con -569; Presicce con -342; Melissano con -336; Corsano con -313; Castrignano del Capo con -271; Morciano di Leuca con -261; Specchia con -191 e Alessano con -182.
I numeri della crisi
Nella fascia otrantina, invece, la maglia nera va ad Andrano con -383 abitanti. Non se la passano meglio Nociglia, che registra -380 residenti; Minervino di Lecce con -347; Diso con -330; Botrugno con -296; San Cassiano con -184; Castro con -166; Surano con -157; Spongano con -136; Palmariggi con -105; Giuggianello, il comune più piccolo della provincia con appena 1.196 abitanti, ne ha persi 87 negli ultimi 16 anni. A Ortelle, dove si segna un -83 nello stesso periodo, a frenare le perdite sono stati i migranti dei centri di accoglienza: 77 quelli che nell’ultimo anno si sono registrati qui dall’estero. Parabola discendente anche per uno dei centri più grandi, Maglie, che ha perso 1.063 abitanti. Numeri che vanno contestualizzati: la gran parte dei comuni levantini, con frazioni annesse, non arriva ai 3mila residenti; quelli del Capo di Leuca raramente raggiungono i 5-6mila. Sono i centri più distanti dal capoluogo e, tranne Otranto, anche quelli più tagliati fuori dai circuiti turistici. Incrociando, poi, i dati demografici con quelli relativi ai redditi, si scopre che, tranne rare eccezioni, in quasi tutte queste realtà si va avanti con poco: i redditi medi oscillano intorno ai 6-7mila euro, al di sotto di una già risicata media provinciale di 9.635 euro nel 2015. La maggioranza delle famiglie, comunque, è proprietaria di un’abitazione e di un pezzetto di terra.
Il travaso verso il capoluogo
Un travaso in corso, si diceva: è come se interi borghi si fossero trasferiti a Lecce e nella cinta intorno. La città, tra il 2001 e il 2017, ha accresciuto la sua popolazione di 12.304 unità, con un trend del +14,3 per cento. Ed è l’unico capoluogo della Puglia che ha stime di ulteriore crescita nel prossimo futuro. Surbo è lievitata di 2.340 abitanti; Cavallino di 2.140; Lizzanello di 1.766; San Cesario di 810; Arnesano di 606. I risvolti più palesi sono soprattutto sull’assetto urbanistico, con un’espansione edilizia abnorme in alcuni quartieri; quelli meno evidenti sono in ambito sociale, perché poca è l’aggregazione del tessuto comunitario.
Politiche scoordinate contro lo spopolamento
C’è chi viaggia da solo: a Caprarica di Lecce, comune di 2.400 abitanti in cui la perdita secca è stata di 400 residenti dal 2001 ad oggi, il sindaco Paolo Greco ha deciso di aderire all’iniziativa nazionale “Case a 1 euro”. “Puntiamo – spiega – a incentivare il recupero di immobili abbandonati, che vengono concessi in comodato d’uso per una durata ultraventennale a chi si impegna ad avviare una vita qui. Non solo famiglie, ma anche cooperative e associazioni. Quelle case hanno un costo per i proprietari, su cui gravano obblighi di sistemazione e tassazione. Con il nostro progetto, si ha una forte incentivazione di carattere fiscale”. Grazie all’accoglienza di 25 migranti nello Sprar, inoltre, Caprarica ha ora 13 bambini in più di età scolare e prescolare. Non poco: nel 2016 i nuovi nati sono stati appena sette. L’estremo Sud Salento, con 14 Comuni, è stato riconosciuto come una delle quattro “aree interne” della Puglia. In autunno, dovrebbe essere approvato il documento strategico sui piani attuativi, relativi a formazione specializzata, incremento trasporti, servizi sanitari in loco. Stando alla relazione annuale sulla Strategia nazionale, pubblicata dal Cipe nel gennaio scorso, per le 72 aree interne selezionate in tutta Italia è a disposizione una dotazione complessiva di poco più di 281 milioni di euro, pari a 3,74 milioni per ciascuna aggregazione. A questi soldi si sommano le risorse regionali, in larga parte provenienti dalla programmazione dei fondi strutturali e d’investimento europei. È qualcosa, ma non basterà a “salvare” il Capo di Leuca. Il versante levantino, poi, pur alle prese con problemi identici di calo demografico e lontananza dai centri di servizio, non beneficia, ad oggi, dell’inserimento in quella strategia nazionale.
E sul territorio ci si arrangia come può
Mentre le amministrazioni sonnecchiano su questo fronte, sul territorio ci si arrangia come si può. Sono diverse le associazioni che lavorano per restare. Anzi, per una “restanza”, come l’ha definita l’antropologo Vito Teti. Esperimenti in corso, soprattutto legati a nuove forme di agricoltura e di economia di comunità, come quelli che confluiscono nella Rete Salento Km0. L’esperienza di Casa delle Agriculture Tullia e Gino, a Castiglione d’Otranto, è diventata la traccia di un film di produzione italo-belga e un caso di studio per l’Università di Lecce, perché “dimostra – ha spiegato Angelo Salento, docente di Sociologia economica e del Lavoro – che non soltanto l’agricoltura in senso stretto, ma la terra o, meglio, la campagna possono essere il luogo di una nuova prosperità. Per una volta, non parliamo soltanto di branding e marketing territoriale, ma di un’architettura, anche istituzionale, che persegue più obiettivi: migliorare la qualità dell’alimentazione, generare una politica economica territoriale fondata sulla qualità della produzione agricola e sulle altre attività che ruotano intorno alle campagne, rigenerare il tessuto rurale e il rapporto fra centri abitati e campagna, sostenere il reddito e la qualità della vita di quanti desiderano restare o tornare. In altri contesti i lavori sono già iniziati. Il Salento non ha tempo da perdere, su questo fronte, perché ogni giorno subisce un’emorragia di popolazione giovane che le glorie del turismo di massa — un’industria pesante, non dimentichiamolo — non possono compensare”.