Non c’è covo di criminale senza che alla parete non appaia un crocifisso, una effige della Madonna, un santino dell’Immacolata, l’ex voto al patrono del paese. Da Totò Riina in giù, i più grandi delinquenti comuni, ancor di più se associati, coniugano la loro vita efferata e crudele col segno della Chiesa, testimone universale di compassione e di pietà. I carabinieri, due giorni fa, sono dovuti intervenire per impedire a un presunto boss della ‘ndrangheta, Giuseppe Accorinti, di portare sulle sue spalle e tra le sue mani, macchiate di delitti gravi già sanzionati dalla giustizia, la Madonna delle Neve a Zungri, in provincia di Vibo Valentia. Una novità quasi assoluta, con il comitato promotore che aveva protestato per questa intrusione e il vescovo di Vibo che ha usato parole chiare contro fatti simili.
Una novità, dicevamo. Perché purtroppo le processioni – benedette dai parroci e salutate dal gregge di Cristo – sono servite a formalizzare la forza del boss, il dominio sul territorio e la sudditanza dei suoi concittadini, tutti naturalmente credenti. Con le forze dell’ordine che spesso assistevano inoperose e distratte a questo ulteriore misfatto civile e religioso. In un libro documentatissimo e spietato nella sua crudezza (I preti e i mafiosi, edito da Baldini&Castoldi) Isaia Sales ha illustrato il legame a volte inscindibile e rivelato le responsabilità storiche della Chiesa che in alcuni casi si è dimostrata indifferente, in altri omissiva, in altri ancora coscientemente collusa. Apriamo una parentesi. Di queste ore il sondaggio sulla popolarità di Papa Francesco, con l’indice sceso di alcuni punti.
Il Papa dei poveri, dei diseredati, il Papa a cui piace parlare degli ultimi, andare fra gli ultimi stenta a farsi riconoscere e a guidare le grandi trasformazioni che auspica nel mondo tra la sua Chiesa. Le masse lo applaudono ma la burocrazia vaticana, a quel che appare, diffida, rallenta, ostruisce e a volte contesta. Dunque il carisma del vicario di Cristo, agli occhi dell’opinione pubblica, si appanna, perde lo splendore di un tempo. Chiusa questa parentesi, rileviamo che tra i paradossi del nostro tempo c’è senza dubbio quello che per noi italiani è il più duro da digerire: vedere esibito il crocifisso per motivi opposti alla sua ragione e al grande mistero della fede. Vederlo innalzato per strumentali e a volte abietti motivi politici o – addirittura – vederlo portato al petto da chi ogni giorno fa sanguinare il petto altrui.