Diritti

Sla, scheda artistica del progetto “Dell’amore e del coraggio”

La mia anima ha smesso di cantare ma il mio pensiero troverà nuova poesia” (P. Di Modica)

“Dell’amore e del coraggio”
Fiabe musicali ed altre storie d’amore e di coraggio per bambini di tutte le età!
Progetto di Paolo Di Modica, musico impertinente

Il progetto “Dell’Amore e del Coraggio” fu ideato per la prima volta molti anni fa da Paolo Di Modica, per raccontare  di storie d’amore e di coraggio ricorrendo alla forma artistica del melologo.

Sul melologo

Questa forma parateatrale ibrida, abbastanza in voga negli ultimi decenni del Settecento, investita da un nuovo vigore nel Novecento grazie a formidabili collaborazioni tra teatro e musica, è caratterizzata dalla fusione di un testo letterario (poesia o prosa) e di un accompagnamento musicale. La singolarità del genere risiede nella compresenza di due registri espressivi, ma mentre la recitazione è per sua natura  libera, il commento sonoro possiede invece un’architettura ritmica e una propria vocazione formale. La riuscita di un melologo dipende dunque dall’efficace incastonarsi dei due linguaggi di modo che le sottolineature della musica non rischino di cadere in momenti poetici o narrativi poco significativi. Musica e recitazione devono fondersi nel segno di un reciproco potenziamento ove la musica non è mai semplice accompagnamento ma vero e proprio commento all’azione raccontata in scena. Il doppio registro drammatico amplifica le possibilità espressive e nello stesso tempo contribuisce ad aumentare la sorpresa dello spettatore, iscritta in quel patto implicito sottoscritto tra opera e pubblico. La musica difatti amplifica la trasfigurazione lirica della parola, consentendole di elevare al massimo la trasmissione dell’emozione. La musica racconta, ed è dunque narrativa, non solo per la forza evocativa che il linguaggio musicale ha in sé ma perché supporta e struttura la successione degli eventi e delinea il carattere dei personaggi in azione.

Sulla fiaba

La forma epica del titolo introduce nel mondo archetipico e universale della fiaba.

Perché la fiaba? Perché la fiaba ha un linguaggio primigenio, perché permette di dire attraverso storie fantastiche, inventate, allegoriche cose che non sempre riusciremmo a raccontare: i nostri movimenti interiori e i cambiamenti sociali, il dolore, la sofferenza, i conflitti, i limiti individuali. La valenza psico-antropologica della fiaba è pertanto fondamentale. La fiaba possiede una struttura umana e psicologica basilare e quindi universale, in realtà una dinamica relazionale che ogni essere umano riconosce come propria e gli provoca un’emozione.

Questo progetto “Dell’amore e del Coraggio” include due fiabe: Il prode piccolo sarto e L’Arpa nel bosco.

Il prode piccolo sarto è un’ operina di rara esecuzione ma di pregevole fattura, tratta dalla omonima fiaba dei fratelli Grimm e composta a Parigi nel 1939 da Tibor Harsanyi (compositore ungherese naturalizzato francese, allievo di Bartók e Kodály) per una “pièce” di marionette.  Mentre l’altra fiaba,  L’Arpa nel bosco, è tratta dalla raccolta di fiabe inedite “Draghi, Principi e Bambini” di Angela Amico, scrittrice siciliana, con musiche di Marco Taralli, compositore abruzzese, commissionate entrambe da Paolo Di Modica per il  progetto “Dell’Amore e del Coraggio”.

Le due fiabe hanno come comune denominatore la grande forza interiore che ogni essere umano ha dentro di sé ma che non sa di avere, troppo spesso bloccata dalla paura o da sentimenti negativi. Entrambe sono in realtà l’esempio di quanto l’apparenza sia quasi sempre ingannevole e incapace di dirci un granché sulle persone. I personaggi delle due fiabe sono difatti due incompresi che riescono a comunicare col mondo, senza più subirlo, quando iniziano “credere in se stessi”.

Saranno capaci l’amore, la passione, la curiosità e il desiderio di scoperta  di conferire ai protagonisti la forza necessaria per riscattarsi da un’esistenza grigia (priva dei colori della passione) ? E quanti di noi, vivendo un’esistenza bloccata dalle emozioni negative o dalla frustrazione, si trovano nella medesima condizione di incapacità di comunicare ! E’ proprio grazie all’intelligenza,  all’astuzia,  all’amore per le proprie passioni  che i due personaggi riescono a trovare la via per esprimersi.

Così la piccola Eliza dell’  “Arpa nel bosco” imparerà che per realizzare i propri sogni occorre sempre metodo e applicazione. Lo studio della musica e il metodo legato al suo apprendimento la aiuteranno ad acquisire il coraggio di mostrare a tutti la sua anima gentile, facendo così crollare ataviche superstizioni che la imprigionavano dietro  una maschera.  In realtà riuscire in un’abilità è un modo per controllare le emozioni, farle diventare intelligenti e positive, il che permette di acquisire il coraggio necessario per essere se stessi al di là di qualsiasi costrizione imposta, consapevolmente o inconsapevolmente, da chi ci circonda.

Il piccolo sarto dell’omonima fiaba dei Grimm è invece il racconto, in chiave ironica, dei pregiudizi che si celano dietro le false apparenze. Può un piccolo uomo dedito ad un umile lavoro essere scambiato per un grande guerriero dalla forza straordinaria?

Se ci riesce il piccolo sarto lo deve all’astuzia e all’intelligenza con cui volge a suo  favore le situazioni in cui si trova coinvolto. Una volta vinte le sue paure,  un bel giorno parte in giro per il mondo, forte del coraggio conquistato e della curiosità di confrontarsi con esso. L’ironia implicita scaturisce proprio dallo scarto tra realtà ed apparenza, indispensabile per raccontarci che anche l’eroismo leggendario forse non  è altro che la proiezione di  paure e desideri inconsci, ma la realtà è fatta sempre da piccole cose e buon senso. La demistificazione della figura dell’eroe sovrumano a favore di un più realistico uomo che, pur con tutte le sue debolezze, riesce nelle sue imprese grazie alla furbizia e all’opportunismo, è in fondo in linea con la figura del nuovo potere borghese che si andava affermando all’epoca dei Grimm, in un Ottocento, non solo Romantico, che ribaltò totalmente la figura dell’eroe classico, consegnandoci infine l’ “uomo qualunque”  del Novecento.

Sulla musica in scena

Nel Prode piccolo sarto (1939) la voce narrante è affiancata da un ensemble strumentale formato da flauto, ottavino, clarinetto, fagotto, tromba, percussioni, pianoforte, violino e violoncello. Analogamente a quanto aveva fatto Sergei Prokofiev nel suo capolavoro Pierino il lupo scritto l’anno precedente, qui il compositore attenua le asperità del linguaggio musicale novecentesco per andare incontro al pubblico dei più piccoli e alle esigenze della narrazione fiabesca; attenuazione che però non comporta banalizzazione, perché, al contrario, la scrittura musicale è magistrale, raffinata, efficace nella rappresentazione sonora dei personaggi e delle situazioni. Con umorismo garbato il compositore si avvale dei timbri dei singoli strumenti e delle loro combinazioni per caratterizzare, attraverso le tredici scene in cui si snoda la vicenda, il piccolo sarto allegramente intento al suo lavoro, e poi alle prese con i giganti, il cinghiale o l’unicorno, e poi ancora il Re con il suo seguito, i popolani, le mosche importune, e così via.

Nella prima scena la musica crea un’atmosfera di tranquilla serenità, e tratteggia il carattere cordiale e allo stesso tempo sagace e spregiudicato del piccolo sarto intento al lavoro nella sua bottega.

Acquistata della marmellata da una contadina di passaggio, il sarto viene assalito da uno stuolo di mosche fameliche, descritte nella seconda scena dalle figurazioni ronzanti e oscillanti del violino e del violoncello. E qui ha luogo il fatto che cambierà il destino del piccolo sarto: con un colpo ben assestato, l’artigiano uccide sette mosche in un colpo solo. Inorgoglito dalla sua impresa, il protagonista decide di andarsene per il mondo, ma prima cuce sulla propria cintura quella frase (“Sette in un colpo solo!”) sulla quale si fonderà la sua nomea di eroe.

Nella terza scena la sonorità dolce e incantata del flauto ci mostra il sarto addormentato, stanco per il lungo cammino, proprio nel cortile del palazzo reale. I popolani sopraggiunti leggono la frase sulla cintura; nasce l’equivoco fatale, e il re viene avvertito della presenza di un grande guerriero.

La quarta scena descrive l’arrivo del re e del suo corteo, con le sonorità ironicamente marziali, da banda militare, della tromba, dell’ottavino e del triangolo. Il re incarica l’eroe di liberare il regno dai pericoli che lo minacciano, e gli promette in ricompensa metà del regno e la mano della principessa.

La quinta scena ci presenta la prima delle creature mostruose che il sarto dovrà affrontare: un enorme cinghiale feroce. La rappresentazione del grottesco animale che bruca tranquillamente è affidata alla sonorità grassa e borbottante del fagotto; segue un episodio musicale mosso e contrastato, che descrive i ripetuti assalti del cinghiale e le agili mosse dell’ometto, che riesce a imprigionare il mostro con un abile stratagemma.

Nella scena successiva, con una marcetta gioiosa ancora una volta introdotta dall’ottavino, si celebra la prima vittoria. Ma una nuova fatica attende l’eroe: questa volta si tratterà di affrontare nientemeno che due crudeli giganti.

Nella settima scena le sonorità pesanti di fiati e archi e le rapide scale del pianoforte descrivono l’incedere dei due spaventosi personaggi e il suolo che trema al loro passaggio. Lanciando dei sassi, non visto, dalla cima di un albero, durante un passaggio in cui, con effetto esilarante, le percussioni si producono in sonorità onomatopeiche, l’eroe provoca una lite fra i due, che provvedono a eliminarsi a vicenda al termine di una lotta furibonda, la quale fornisce l’occasione per il brano musicale più burrascoso dell’intera opera. Nuovi onori militari e nuova fanfara con tromba, tamburo ed effetti di percussione affidati ad archi e pianoforte, grazie ai quali il compositore ottiene dal piccolo ensemble le sonorità di una grande banda militare.

Nella nona scena c’è spazio per un momento di malinconica nostalgia, affidata al canto struggente del clarinetto e della tromba con sordina; il piccolo sarto per un momento è sopraffatto dal timore dell’ultima prova che lo attende, e rimpiange la tranquillità della sua bottega. Ma la malinconia è presto superata: è tempo di penetrare nella foresta alla ricerca dell’unicorno!

Nella decima scena il musicista si avvale con ironia, secondo una tendenza tipica della musica francese del primo ‘900, di un ritmo di danza americano di moda, il Foxtrot, i cui ritmi scattanti descrivono alla perfezione i movimenti allo stesso tempo eleganti e nervosi dell’ombroso animale. Anche questa scena si conclude con la cattura del favoloso mostro, mentre nella scena successiva la solennità della musica accompagna il conferimento delle ricompense promesse: la metà del regno, la corona d’alloro, e la mano della principessa. La penultima scena ci immerge nelle sonorità di festa popolare create dallo scampanio del pianoforte e delle percussioni, dal tema trionfante della tromba, e dal brusio della folla affidato al violino e al clarinetto. Non resta che concludere la storia facendo riascoltare la musica della prima scena, che sancisce la ritrovata serenità e ci fa capire che il carattere schietto e cordiale del piccolo sarto non è cambiato.

 

L’Arpa nel Bosco

Alla prima scena dell’Arpa nel bosco, (2003) è affidato il compito di descrivere brevemente ambiente e personaggi principali: un bosco, una famiglia semplice una bimba particolare dalle sembianze di un folletto; si possono immaginare caldi colori che ricordano l’autunno e profumi acri di bacche e licheni, mirto e muschio bianco; alla musica è affidato il compito di esaltare e vivificare colori e profumi attraverso due dei tre strumenti dell’ensemble: la viola ed il flauto che dialogano senza soluzione di continuità sfiorandosi attraverso il colore dei loro timbri come ali di farfalla che accarezzano il viso di un bimbo mentre cammina baciato dai raggi tiepidi di un soleggiato pomeriggio. Le semplici melodie della viola e del flauto si intrecciano, si incontrano e poi si allontanano come a descrivere i pensieri ora tristi ora sereni di un’anima pura che passa dalla gioia alla malinconia con inconsapevole facilità.

La seconda scena è dedicata alla piccola Eliza che mentre cammina nel bosco immersa nei suoi pensieri, incontra la folletta Meggy; i sapori della fiaba nordica sono sempre più evidenti sia nella descrizione dei personaggi sia nell’ambientazione fiabesca; una magica melodia affidata alla sola arpa si insinua in assolvenza sulle parole del narratore dividendosi in una serie di frasi musicali, che dialogano fra loro nitide e cristalline come gocce di rugiada che si posano con dolcezza sui cespugli di mirtilli ai piedi degli abeti.

La terza scena è dedicata al passaggio dallo stupore e l’entusiasmo di Eliza per l’incontro con la folletta Meggy alla delusione e allo sconforto nel momento in cui si realizza quanta fatica, impegno e pazienza siano necessari per raggiungere l’obiettivo; la melodia dell’arpa si lega ai passaggi d’animo di Eliza mutando dalla precedente perlacea melodia ad un movimento melodico dal sapore serio e solenne.

Nell’ultima parte Eliza rientra nella sua comunità, nella famiglia, terminato il suo percorso iniziatico alla ricerca della libertà di essere se stessa, di poter parlare e di essere ascoltata; così come Eliza si ricongiunge con il suo nuovo aspetto alla sua gente, così viola flauto ed arpa si ricongiungono nell’ultima parte per librare le loro melodie nel vento tiepido del bosco tra le foglie del biancospino passando lo stesso tema ora all’arpa ora alla viola ora al flauto come mani che si toccano sfiorandosi per un attimo per poi allontanarsi nell’attesa del prossimo passaggio.

N.B.

La sezione Sulla musica in scena è :

del maestro Marcello Bufalini per il commento alla partitura de Il prode piccolo sarto,
di Corinne Baroni per il commento alla partitura de L’arpa nel bosco.
Le brevi note Sul melologo e  Sulla fiaba sono  di  Maria Di Pino.