Il quinto giorno a bordo di Aquarius è scandito dal pattugliamento nella zona Sar, a 25/30 miglia dalla costa libica – le acque territoriali iniziano a 12 miglia. La nave si avvicina e si allontana, seguendo quello che è il probabile tragitto delle imbarcazioni dei migranti incrociando le notizie da terra e l’esperienza. Aquarius è l’unica nave ONG nell’area: ieri Open Arms ha cominciato il viaggio di ritorno, destinazione ancora ignota. Il tempo peggiora, si alza il vento che arriva a 15-20 nodi, la nave inizia a ciondolare mentre in serata le onde raggiungono gli oblò della mensa.
“Faccio sempre questo esempio: se una nave brucia che fai?”, dice Viviana, soccorritrice siciliana del SAR team, mentre scruta l’orizzonte dal ponte con un cannocchiale. “Se hai un idrante cominci a spegnere il fuoco oppure resti fermo a guardare fino a che non arrivano i vigili del fuoco? O fino a che la centrale non decide quali vigili del fuoco devono arrivare?”. È questa la ratio – spiega – con cui in caso di necessità, Aquarius interverrà in un soccorso. Avvisando immediatamente i centri di coordinamento della zona (libico, maltese e italiano) ma non attendendo autorizzazione alcuna. Quella dell’autorizzazione era una consuetudine consolidata ma, spiegano a bordo – in una situazione non chiara come quella che si è creata nel Mediterraneo centrale – al di sopra ad essa vige la legge che obbliga all’intervento immediato in caso di pericolo di vita.
Viviana usa lo stesso parallelo anche per rispondere a chi è convinto che chi sta in mare, chi fa soccorso su una nave umanitaria, chi lavora qui non dovrebbe prendere un centesimo. “Per caso qualcuno pretende che i vigili del fuoco non vengano pagati? O i dottori?”. “Qui siamo tutti professionisti. Non ci si può improvvisare soccorritori. Quindi le persone sono pagate. Certo non si arricchiscono: fanno questo lavoro non per soldi ma per altre ragioni”, spiega Alessandro, anche lui nel Sar team.
I costi operativi dell’Aquarius si aggirano intorno agli 11mila euro al giorno, divisi a metà tra SOS Mediterranée e Medici Senza Frontiere. “Questi soldi – so che ci sono stati molti rumor al merito – in genere vengono da privati”, spiega Nick Romaniuk, Search and Rescue Coordinator (nome in codice SARCO) per SOS Mediterranée. 33 anni, è nato a Londra ma vive da 15 anni in Francia. “Circa il 93-94% viene da cittadini dei paesi europei ma anche dal resto del mondo. C’è chi dona a volte 10 euro al mese, ci sono donatori ricorrenti. Abbiamo alcune donazioni che vengono da aziende e associazioni, ma la maggior parte viene da individui privati”. Per esempio “in passato mi è capitato di contattare alcune realtà per gli equipaggiamenti di cui avevamo bisogno”, dice ancora Nick. “Mi davano una quotazione, poi spiegavo per quale missione quel materiale sarebbe stato utilizzato e spesso le aziende ci hanno donato quello che ci serviva: perché credevano nella causa. Facciamo affidamento sulle donazioni ed è l’unico modo in cui operiamo: e questo dimostra il supporto che abbiamo in tutta Europa”.
I soldi vengono utilizzati per il funzionamento della nave, per esempio per il costo del carburante. “Aquarius è una nave economica”, dice Nick. “Ha motori elettrici e generatori di carburante quindi non ne usa molto. È un po’ un ibrido: ed è meglio anche per l’ambiente”. La Hempel Shipping GmbH fornisce i servizi di gestione tecnica e noleggio. Quindi “ci sono i costi dei marinai, che sono dei professionisti”, prosegue il coordinatore, “Così come lo sono i componenti del team di SOS Mediterranée. Questo perché vogliamo che l’impostazione resti e che le persone tornino, mantengano quelle abilità e le migliorino nel tempo. Anche per la nostra sicurezza”. Ed è pagato il team di soccorritori: “hanno background nel mondo del soccorso e la maggior parte di loro sono dei marittimi, alcuni sono ufficiali che sono passati per l’accademia e hanno operato per diversi anni in mare”, dice Nick. Quanto guadagnano? “Non ti dirò il salario delle persone, se vogliono sono liberi di dirtelo. È abbastanza per sopravvivere. Non per farci soldi: permette loro di pagare l’affitto, avere del tempo libero e poi tornare”. Non è comunque un mistero: sul sito di SOS Mediterranée è possibile trovare eventuali annunci di lavoro. Qui ad esempio la vacancy per un/una componente del SAR team: 1.240€ al mese lordi in caso di Junior staff, 1.760€ al mese lordi “dopo 9 settimane di seniority”. “Qui non lo facciamo per denaro. Io, altre persone, faremmo molti molti più soldi se lavorassimo nel settore privato. E invece siamo qui”.
A bordo le provviste sono stipate in ogni angolo possibile della nave. “Prima avevamo cibo sufficiente per al massimo 5 giorni di navigazione dopo un soccorso. Per questa missione, dopo i fatti di Valencia, abbiamo caricato su Aquarius provviste per due settimane di navigazione solo un eventuale soccorso, per circa 400/450 persone”. Costo? 5 euro al giorno per persona.
Sono divisi a metà tra MSF e SOS i costi dei gommoni, dei giubbotti di salvataggio, del fotografo di bordo, delle sistemazioni di chi è a bordo, del carburante. Ma anche le spese portuali, le tasse, i costi della sicurezza e delle comunicazioni (internet, il telefono satellitare), i costi amministrativi. In più, spiega Aloys Vimard, coordinatore del progetto per MSF, la sua ong sostiene da sola i costi “NFI – non food items”. Quindi tutto il materiale medico a bordo e i kit per le persone soccorse. I kit con cui Aquarius è partita da Marsiglia sono 1071. Ogni kit contiene lenzuola, asciugamano, spazzolino, acqua, succo di frutta, una confezione di cibo energetico per il fabbisogno di 24 ore, un set di vestiti – maglietta, giacca, pantaloni, cappello. Ogni kit costa a MSF più o meno 32 euro. Tutti i fondi MSF utilizzati per Aquarius “provengono da donazioni private”, così come viene da privati il totale dei fondi raccolti dall’organizzazione: 96% da scelte fatte da privati cittadini e 4% da aziende e fondazioni. Da giugno 2016 MSF ha rinunciato a ogni finanziamento da parte dall’UE (che comunque costituiva una parte limitata del bilancio): “Una decisione presa per segnare il nostro distacco dalle politiche europee sulla migrazione”, soprattutto dopo l’accordo tra Unione Europea e Turchia.
Lo stipendio, per chi è a bordo con Medici Senza Frontiere, oscilla tra i 2mila euro del capo progetto e i 1100 euro al mese. “E in questa missione abbiamo un volontario, che per MSF è il livello base da cui si comincia per un certo periodo: ha un rimborso spese di 1000 euro al mese”, spiega Aloys. “Non sono certo cifre su cui arricchirsi”, sottolinea MSF. “Come ha detto il vicepresidente di MSF Italia, Roberto Scaini, per fare un esempio, lui guadagna di più dal suo stipendio da medico di famiglia in Italia che in un ruolo di coordinamento medico con MSF”.
Come noto “tutte le polemiche e fake news scatenate fin dall’anno scorso intorno alle attività in mare delle ONG hanno anche avuto qualche ripercussione sulle donazioni”, dicono ancora da MSF. “Dalle attività di ricerca e soccorso non viene alcun guadagno né personale né per l’organizzazione, anzi. È un investimento di nostri fondi, un investimento in vite umane da salvare in mare, che oltre a essere il nostro unico obiettivo è per noi un imperativo etico e umanitario, come per la legge è (e per gli Stati dovrebbe essere) un obbligo legale”.