Un fascicolo contro ignoti per fare accertamenti sulle aziende per le quali lavoravano i braccianti rimasti uccisi nell’ultima strage stradale. È quello che ha aperto la procura di Foggia dopo la morte di 12 braccianti nigeriani morti il 6 agosto scorso in un incidente stradale all’altezza dello svincolo per Lesina (Foggia) sulla Statale 16. Le aziende attenzionate sono una molisana e altre pugliesi. Nell’inchiesta si ipotizza il reato di intermediazione illecita di manodopera e sfruttamento del lavoro, cioè di caporalato. L’autista del mezzo che si è scontrato col furgoncino dei braccianti è formalmente indagato per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose ma l’iscrizione nel registro degli indagati, precisano fonti della procura di Foggia, è un atto dovuto per svolgere i necessari accertamenti. Per ricostruire l’esatta dinamica dell’incidente, i magistrati attendono la relazione tecnica affidata ad un consulente che ha svolto i rilievi sul luogo dello schianto. Da una prima ricostruzione dei fatti, però, sembrerebbe chiaro che il furgoncino con a bordo i migranti abbia sbandato autonomamente. Il conducente, un cittadino di origini marocchine anche lui morto, avrebbe perso il controllo del mezzo andandosi a scontrare con il tir e ribaltandosi sull’asfalto.
“Un pool di magistrati è al lavoro per accertare le condizioni di lavoro e quelle di trasporto e anche per capire se il trasporto di braccianti sui campi fosse gestito e organizzato dalle stesse aziende agricole”, spiega il procuratore di Foggia, Ludovico Vaccaro. Al momento sono state identificate solo sette delle 12 vittime, 11 delle quali erano nigeriane e una sola, l’autista del mezzo, proveniente dal Marocco. I sette erano regolarmente assunti, come risulta dalla documentazione in corso di acquisizione. I due braccianti sopravvissuti all’impatto, e attualmente ricoverati nell’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, sono stati già ascoltati dagli investigatori che hanno raccolto le loro dichiarazioni, sia per ottenere indicazioni sulla dinamica dell’incidente, sia per avere informazioni su tempi, compensi e modalità del loro lavoro nei campi.
Il procuratore: “Chiesti più magistrati” – “Il Pool dei magistrati che si occupano di caporalato sarà raddoppiato: è formato da tre magistrati, compreso il coordinatore. È previsto il rinforzo immediato di altri due magistrati. Per quanto riguarda le forze dell’ordine si fanno tutti i controlli possibili ma non sono sufficienti perché qui è una trincea. Faccio un esempio: mentre ci occupavamo dei 12 morti abbiamo fronteggiato un omicidio ad Ascoli Satriano e un attentato a un furgone”, ha detto il procuratore Vaccaro in un’intervista alla Stampa, aggiungendo di aver chiesto al ministro dell’Interno, Matteo Salvini, “più magistrati“. Le inchieste sul caporalato, spiega, anche “solo quelle dell’ultimo biennio sono decine ma c’è ancora un grosso sommerso che deve emergere. A me non piace parlare di caporalato – afferma quindi – ma di caporalati, che in questa parte della Puglia sono almeno tre e riguardano tre fasce di braccianti agricoli: i locali, i cittadini comunitari, soprattutto bulgari e romeni e, infine, la fascia più debole, quella degli africani. È la sfera più grave che riguarda i più indifesi, condannati a una vita precaria nei ghetti, in condizioni disumane”.
Il report della Cgil: “In Italia 15mila caporali” – Sul sistema criminale legato al caporalato fornisce un quadro dettagliato il rapporto curato dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil. In ognuno dei 220 distretti agricoli censiti, il report conta in media 34 caporali, pari a circa 102 per provincia. Ogni provincia infatti è caratterizzata dalla presenza di 3/4 sub-aree agricole con caporali di diverso profilo sociale: mediamente 21 capi-squadra, 10 caporali dirigisti, due collusi con le organizzazioni criminali e uno caporale organico ad una cosca mafiosa. In totale circa 15.000 unità su tutto il territorio nazionale.
Dai capisquadra ai caporali – I caporali non sono tutti uguali. C’è il caposquadra, un “primo tra pari“, con mezzi di trasporto propri o in grado di affittarli, esperto del processo organizzativo legato alle fasi della raccolta: intorno a lui si aggregano squadre di lavoro fidelizzate che percepiscono, in nero o in grigio, un salario inferiore di un quarto rispetto al contratto. C’è il caporale violento e dirigista che preleva quote rilevanti del salario del lavoratore imponendo il costo del trasporto (5 euro al giorno) e dei beni di prima necessità come l’acqua (1,5 euro), un panino (3 euro) e molti casi perfino l’alloggio: o si fa quello che dice o si è mandati via. E poi ci sono le squadre di caporali collusi, che mantengono rapporti, consapevole o meno, con le organizzazioni criminali, gestiscono la tratta di esseri umani e a volte direttamente alcune aziende agricole tramite prestanome. Questi ultimi possono essere italiani che stranieri, spesso si avvalgono di consulenze di professionisti per riciclare denaro sporco e utilizzano forme apparentemente legali di ingaggio come finte coop o società di servizi.
La piramide gerarchica – A seconda della funzione svolgono, i caporali occupano una diversa posizione nella piramide gerarchica. In basso, c’è la platea più numerosa dei caporali in contatto diretto con i braccianti, seguita dai caporali-autisti e subito dopo dai caporali reclutatori. Più su si collocano i caporali di coordinamento-squadre, i vice-capo e gli addetti alla logistica e al vertice ci sono i caporali-boss in contatto con le aziende.
Aziende e caporali – Secondo l’Osservatorio, sono circa 30.000 le aziende agricole che ingaggiano lavoratori in modo irregolare su tutto il territorio nazionale. Fra queste, quelle che si avvalgono di caporali capi-squadra sono 18mila, pari al 60%; un altro 30%, ossia circa novemila aziende, ricorre a caporali violenti e dirigisti; la quota dei caporali alle dipendenze di aziende che direttamente o indirettamente sono colluse con organizzazioni raggiunge il 10% del totale, ovvero quasi 3.000: di queste il 3% (900 unità) ricorre a condotte correlabili al metodo mafioso.