Per i giudici l'authority di Borsa sapeva della crisi già nel dicembre di cinque anni fa, grazie alle informazioni ricevute da Banca d'Italia, ma non si attivò: "Non era abbastanza - si chiedono - per cominciare ad indagare sulla trasparenza e veridicità del prospetto dell’offerta al pubblico delle azioni in aumento di capitale che si era avuta nei mesi precedenti?"
La gravissima situazione nella quale si trovava Banca Etruria era nota alla Consob dal dicembre 2013 e quindi le sanzioni comminate ad amministratore e sindaci per le supposte mancate informazioni contenute nel prospetto dell’aumento di capitale di fine 2013 sono frutto di un procedimento avviato tardivamente, quindi da annullare. Lo si legge nelle motivazioni con cui la Corte d’Appello di Firenze ha deciso di cancellare alcune delle multe emesse dall’authority di Borsa nel 2017, perché secondo i giudici sapeva grazie a documenti e informazioni ricevuti da Bankitalia.
La decisione riguarda l’appello presentato dagli ex sindaci di Banca Etruria – Massimo Tezzon, Paolo Cerini, Gianfranco Neri e Carlo Polci – nonché l’ex amministratore Andrea Orlandi e segue una sentenza del tutto analoga con cui lo stesso Tribunale ha annullato un’analoga sanzione verso un altro ex consigliere, Alberto Bonaiti. I giudici hanno accolto la tesi di amministratori e sindaci secondo cui la Consob avrebbe esercitato tardivamente il suo potere sanzionatorio, oltre il termine di 180 giorni.
Nel motivare la decisione i giudici esaminano le interlocuzioni tra le due authority e contestano la tesi secondo cui la Consob avrebbe avuto solo nel maggio 2016 “la disponibilità di tre fondamentali documenti” di Bankitalia relativi alla situazione di Banca Etruria: la nota rivolta alla banca del 24 luglio 2012, i rilievi dell’ispezione formulati il 5 dicembre 2013 e la nota inviata direttamente al presidente di Etruria il 5 dicembre 2013.
Anche se è vero che Consob non ha ricevuto la nota del 24 luglio 2012 è “documentalmente dimostrato che, ben prima di tale momento” l’authority, scrive la Corte d’Appello di Firenze, “era sicuramente venuta a conoscenza di documenti di Banca d’Italia” sullo stato di Etruria “ben più pregnanti e significativi” e dunque tali “da dover costituire il presupposto per le verifiche di sua competenza”. Inoltre il rapporto ispettivo di Banca d’Italia sull’istituto di credito “era sicuramente conosciuto da Consob quantomeno a febbraio 2014” e “Banca d’Italia ha sicuramente trasmesso a Consob i risultati dei propri accertamenti ispettivi del 2013” a inizio dicembre dello stesso anno.
“Ancora più significativa” è la nota riservata di Bankitalia a Consob del 6 dicembre 2013 in cui Palazzo Koch dice chiaramente che Etruria non è “più in grado di percorrere in via autonoma la strada del risanamento“, imponendone l’aggregazione con un altro istituto e riservandosi “ogni ulteriore iniziativa ritenuta necessaria ad assicurare condizioni di sana e prudente gestione e a tutelare i depositanti della banca”.
“Di più Banca d’Italia non poteva dire a Consob”, affermano i giudici. “Non era abbastanza per Consob – si chiedono – per cominciare ad indagare sulla trasparenza e veridicità del prospetto dell’offerta al pubblico delle azioni in aumento di capitale che si era avuta nei mesi precedenti?”. Sapendo Consob dal 6 dicembre 2013 che Etruria “era sull’orlo del commissariamento a meno che non si fondesse con una banca più grande”, specifica la Corte d’Appello, “delle due l’una”: se l’authority sospettava che il prospetto dell’aumento di luglio 2013 fosse stato “falso e fuorviante”, avrebbe dovuto “cominciare subito l’indagine”. Se invece avesse accertato che era veritiero, “non si poteva irrogare alcuna sanzione“.