Anche il Giappone sta vivendo qualcosa di simile al dieselgate. Dopo il caso Nissan (e i precedenti di Subaru e Mitsubishi), che un mese fa ammise di aver condotto verifiche tecniche sulle emissioni di 19 suoi veicoli non conformi a quanto stabilito dal Ministero dei Trasporti, oggi sono altri costruttori illustri ad uscire allo scoperto. Si tratta di Mazda, Suzuki e Yamaha, come riporta il quotidiano Nikkei, che hanno confessato di aver utilizzato dati falsi sui gas di scarico per le loro misurazioni su veicoli commercializzati nel mercato domestico.

La comunicazione è stata data dallo stesso Ministero dei Trasporti, che in seguito ai recenti scandali aveva ordinato una serie di inchieste interne ad ognuno dei 23 costruttori di auto e motoveicoli che operano in Giappone. Inchieste che sono ancora in corso, dunque il numero delle frodi potrebbe aumentare. Proprio da queste, comunque, sono venuti fuori i tre casi di cui sopra: per quanto riguarda Suzuki, il quarto costruttore giapponese, i mezzi coinvolti sono 6.401: quasi la metà del campione testato in un arco di tempo che va dal 2012 al 2018. “Mi scuso e farò ogni sforzo perché questo non si ripeta”, ha dichiarato il numero uno dell’azienda Toshihiro Suzuki.

Per quanto attiene invece Mazda (che in una nota ha chiarito che gli errori in sede di rilevamento non abbiano effetto sulle emissioni reali) e Yamaha, i numeri sono più bassi: le falsificazioni riguarderebbero rispettivamente il 3,8% delle auto e il 2,1% delle moto che fanno parte del campione preso in considerazione. Queste “confessioni” andranno verificate dallo stesso Ministero dei Trasporti, il quale ha già fatto sapere che è intenzionato a prendere provvedimenti severi ove necessario.

Nel frattempo, i titoli delle aziende interessate hanno avuto diversi problemi in Borsa dopo questi annunci: Suzuki ha perso il 3,32% e Mazda l’1,67%. Ma ad aver perso sul serio, in credibilità, è l’immagine del comparto auto giapponese in madrepatria.

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