Le regole ci sono, ma non sempre adeguate al rischio e, comunque, è difficile farle rispettare da tutti. Perché i numeri del trasporto di merce pericolosa non consentono controlli capillari: 3,5 milioni di viaggi all’anno, a bordo di tir e camion, per trasportare liquidi infiammabili da una parte all’altra dell’Italia. Sono circa 4 milioni i mezzi pesanti sulle strade italiane e, di questi, 78mila portano a bordo materiali potenzialmente letali. Poi ci sono i veicoli che arrivano dall’estero, un capitolo a parte. Secondo Eurostat il trasporto di questi materiali continua a crescere. Dopo l’incidente sul raccordo che unisce l’A1 e l’A14 all’altezza di Borgo Panigale, il procuratore di Bologna Giuseppe Amato, titolare dell’inchiesta a carico di ignoti per disastro colposo, omicidio e lesioni colpose stradali plurime, ha ipotizzato che la causa potrebbe essere stata “un momento di distrazione o un colpo di sonno”. C’è da chiedersi, allora, se il sistema di norme e controlli sia adeguato, se vi siano regole effettivamente più stringenti per chi trasporta materiali pericolosi che vadano oltre gli adempimenti burocratici e quali siano, eventualmente, le falle. “Tanto per iniziare la maggior parte dei conducenti opera in condizioni poco sicure e, dati i numeri di cui si parla, è impossibile verificare che tutti i datori di lavoro rispettino la legge”, spiega a Ilfattoquotidiano.it Giulia Guida, segretario nazionale della Filt Cgil, secondo cui sono diversi gli aspetti da rivedere nell’ambito del trasporto delle merci pericolose nel nostro Paese. “Sappiamo che c’è chi da un lato mette nero su bianco gli orari – aggiunge – ma poi chiede di ridurre il più possibile i tempi di consegna”.
LE LEGGI SULLE MERCI PERICOLOSE – Il sistema è soggetto a normative europee. Prima di tutto l’Adr (Accord europeen relatif au transport international des marchandises dangereuses par route), accordo siglato a Ginevra nel 1957, entrato in vigore nel 1968 e soggetto ad aggiornamento con cadenza biennale, tenendo conto dello sviluppo tecnologico in materia. Sono considerate pericolose tutte quelle merci che possono causare danni alle persone alle cose e all’ambiente e compromettere la sicurezza del trasporto, in seguito a eventuali danni al veicolo che le trasportano o in caso di perdita del carico. In relazione alle caratteristiche chimico-fisiche della sostanza trasportata, le merci in questione sono raggruppate in 13 classi di pericolo, tra cui materie e oggetti esplosivi, gas, liquidi o solidi infiammabili, materie tossiche, infettanti, corrosive e materiali radioattivi.
GLI OBBLIGHI – Non sono previste autorizzazioni speciali per i veicoli utilizzati nel trasporto di merci pericolose. Sia che avvenga in cisterna, in container, piuttosto che in colli o alla rinfusa, è necessario che i veicoli rispettino le disposizioni generali di circolazione e alcune prescrizioni supplementari. I veicoli destinati al trasporto di merci pericolose in cisterna o al trasporto di esplosivi in colli, per esempio, devono ottenere un certificato di approvazione. Il documento attesta la conformità del veicolo alle prescrizioni Adr in fatto di equipaggiamento elettrico, dispositivi di frenatura, limitatore di velocità, dispositivi antincendio e via dicendo. Tutti i conducenti, poi, devono essere in possesso di un certificato per il trasporto di merci pericolose, il cosiddetto patentino Adr, che ha una validità di cinque anni. A bordo non può mancare neppure la ‘scheda di sicurezza’, ossia istruzioni scritte con le precauzioni da adottare in caso di incidente o perdita accidentale del carico, fornite dal trasportatore ai membri dell’equipaggio, redatte in documento plurilingue.
I CONTROLLI – Nel 2016 un servizio delle Iene documentava come alcune aziende di trasporto, per massimizzare i profitti, spingessero gli autisti a eludere la legge, affrontando turni massacranti. E i controlli? Ogni giorno sulle nostre autostrade circolano 10mila mezzi pesanti. Ad occuparsi dei controlli è la polizia stradale. Nei primi sei mesi del 2018 sono state effettuate oltre 154mila verifiche su mezzi pesanti. Di queste, 2.895 hanno riguardato quelli che trasportavano merci pericolose. I numeri sono tendenzialmente in aumento rispetto al 2017: lo scorso anno, infatti, sono stati eseguiti 5.390 controlli, 5.486 nel 2016. “Purtroppo quanto documentano da Le Iene è la realtà – spiega Guida – e ci sono una serie di ragioni per cui controllare tutti è impossibile”. Intanto non tutti operano allo stesso modo. “Le aziende più grandi non possono rischiare perché hanno una determinata visibilità, ma per quelle più piccole il discorso cambia, hanno meno possibilità di investire, adottano scelte produttive diverse e – aggiunge il segretario – non dimentichiamoci che ci sono tantissimi ‘padroncini’, lavoratori autonomi che operano per conto terzi”. Poi c’è il capitolo a parte dei conducenti in distacco transnazionale “che lavorano con una sorta di contratti in somministrazione e che vengono soprattutto dall’Est Europa”. Costano meno e hanno meno garanzie. In questi casi è difficile risalire alle ore di lavoro svolto, ai contributi versati e via dicendo, con il rischio che le regole restino solo sulla carta. Anche quelle che riguardano orari e riposi. “In questo modo – secondo la Filt Cgil – si crea una concorrenza sleale che porta l’intero settore ad abbassare gli standard di sicurezza”.
LA QUESTIONE DEGLI ORARI – Una questione quanto mai attuale quella dei turni massacranti. “I conducenti che trasportano questo tipo di merci sono molto professionalizzati, hanno più qualifiche rispetto alle altre categorie – spiega il segretario della Filt Cgil – e in questo senso la normativa è molto stringente, ma sotto il profilo dei turni e dei riposi non c’è alcuna differenza tra chi porta a bordo merce pericolosa e chi guida un camion con altro tipo di materiale”. Da contratto collettivo nazionale si parla di 47 ore settimanali, estendibili fino a un massimo di 67 solo su accordo sindacale. Oggi, gli autisti sono obbligati a osservare 45 ore di riposo all’interno delle due settimane continuative di servizio. Dopo quattro ore di guida si devono fermare e hanno diritto al riposo lungo di due giorni.
LA MINACCIA DA BRUXELLES – A giugno scorso i sindacati hanno protestano contro il primo voto favorevole, da parte della Commissione europea, per la modifica dell’orario di lavoro dei camionisti. Tre i punti principali della riforma che, se venisse approvata definitivamente, tra le altre cose potrebbe portare cambiamenti sull’orario di lavoro dei conducenti: le ore di riposo potrebbero essere diluite su quattro settimane, anziché su due. “Si vuole così spostare il periodo di riposo lungo alla fine delle quattro settimane”, spiega Guida, che sottolinea come già ora non si abbia contezza di chi rispetta gli orari e i riposi e chi non lo faccia.
LE CONDIZIONI DI LAVORO – Ci sono camionisti che passano anche più di 14 ore alla guida (invece delle nove non consecutive previste) e questo non è l’unico aspetto da rivedere. Molto si potrebbe fare per le nostre aree di servizio non sufficientemente attrezzate”, aggiunge a Ilfatto.it la segretaria nazionale, ricordando come in alcuni Paesi europei vengono sanzionati i datori di lavoro che favoriscono il riposo a bordo dei camionisti, anziché quello in strutture alberghiere”. In Italia, invece, non esistono aree attrezzate per la sosta e i conducenti vivono praticamente a bordo dei veicoli, in condizioni igieniche precarie. Alla sicurezza a bordo pensa poi Maurizio Longo, presidente di Trasportounito: “Anziché incentivare l’acquisto dei rimorchi, perché non si incentivano i sistemi di sicurezza passiva sui mezzi pesanti come, ad esempio, la frenata automatica assistita e il warning dei cambi corsia?”.
TRAFFICO E TRASPORTO SU GOMMA – Nonostante una serie di regole da rispettare, alcune delle quali riguardano i requisiti dei mezzi che trasportano determinate sostanze, restano poi irrisolti alcuni problemi: dalla manutenzione periodica di questi veicoli, alla loro ‘compatibilità’ con il traffico stradale, soprattutto in caso di tamponamento. “Parlando dell’incidente avvenuto a Borgo Panigale – spiega Guida – c’è da chiedersi se non sia il caso di limitare il passaggio di alcuni mezzi, quando il traffico è più inteso”. In Italia il 90 per cento del traffico delle merci viaggia su gomma. Un trend molto diverso rispetto a quanto accade in altri Paesi, come la Germania o l’Olanda. L’alternativa è quella di investire nel trasporto su ferro e via mare. Secondo il presidente di Trasportounito “non è possibile pensare di trasportare, con modalità diverse, circa 60 milioni di tonnellate di merci di materie liquide infiammabili (di cui 8 milioni di gas compressi, liquefatti o disciolti) che ogni anno circolano sulle nostre strade. Soprattutto perché sono trasporti a ‘corto raggio’ e quindi non vi sono alternative”. Una via di mezzo ci sarebbe: “Sono d’accordo con Longo per quanto riguarda chi trasporta merce pericolosa – commenta Guida – ma si potrebbe iniziare a ridurre il traffico degli altri mezzi che non trasportano questo tipo di sostanze e la cui presenza sulle nostre strade rappresenta comunque un pericolo”.