Tutto il paese doveva saperlo. E per farglielo sapere hanno deciso di fare un annuncio pubblico inviando una lettera ai giornali locali. Solo che la notizia da diffondere il più possibile non era né un matrimonio e neanche un altro lieto evento. Al contrario: tutto il paese doveva sapere che loro con quei parenti che hanno deciso di collaborare con la magistratura non vogliono più avere niente a che fare. Sembra uscito da uno dei primi romanzi di Leonardo Sciascia quello che sta succedendo a Favara, in provincia di Agrigento. Una città nota negli ultimi anni perché è diventata teatro di una faida che dalla Sicilia è arrivata fino a Liegi, in Belgio.
Un traffico di stupefacenti che sta attraversendo l’Europa a colpi di agguati e omicidi. Ed è proprio per risolvere alcuni di quei fatti di sangue che gli investigatori stanno utilizzando negli ultimi mesi le dichiarazioni di Giuseppe Quaranta e Mario Rizzo. Il primo era un fedelissimo del boss Francesco Fragapane ma all’inizio del 2018 ha deciso di collaborare con la magistratura. Il secondo, invece, al momento è solo un dichiarante: si è autoaccusato di un tentato omicidio facendo i nomi di altri componenti del commando di morte. La procura di Agrigento guidata da Luigi Patronaggio valuta le sue dichiarazioni, il primo passo che porterà Rizzo a diventare a tutti gli effetti un pentito. I suoi parenti, però, non l’hanno presa bene.
Ieri, 9 agosto, al giornale online Grandangolo.it – che racconta puntualmente i fatti di mafia della zona – arriva una mail. È firmata Angela Russotto, cioè la fidanzata di Rizzo, e c’è scritto: “Preso atto da quanto espresso dagli organi di stampa negli ultimi giorni circa la scelta di collaborare con la giustizia del signor Mario Rizzo , mi dissocio nettamente da tale scelta presa dallo stesso, non volendo avere più nessun tipo di rapporto con lo stesso”. In pratica la donna sancisce la fine della sua relazione con il neo dichiarante con quello che è un vero e proprio comunicato stampa. Da notare che si rivolge al suo ormai ex fidanzato con l’appellativo di “signore”, titolo che – come aveva scoperto Giovanni Falcone – nel linguaggio mafioso equivale a non riconoscere all’interlocutore alcuna importanza.
Ma non solo. Perché dopo alcuni minuti al giornale diretto Franco Castaldo arriva un’altra mail: è di Alessandro Rizzo, fratello di Mario, che in pratica dice le stesse cose di Angela Russotto. A loro si aggiunge la mail di Fabrizio, altro fratello del dichiarante, che il 10 agosto scrive: “Il sottoscritto Rizzo Fabrizio, fratello del neo collaboratore di giustizia, preso atto della scelta di collaborare con la giustizia, mi dissocio nettamente dalla scelta fatta dallo stesso non volendo avere più nessun tipo di rapporto con il sign. Rizzo Mario”. Dissociazioni finite? Neanche per idea.
Al quotidiano locale scrivono anche i parenti di Quaranta, che è un pentito a tutti gli effetti e dunque è inserito insieme ai familiari nel sistema di protezione. “La famiglia del collaboratore Quaranta Giuseppe, la moglie e i figli, dichiarano di non voler condividere la sua scelta dopo aver provato tante volte a convincerlo a farlo ritrattare, e così hanno deciso di non voler più avere a che fare con lui stesso”. Secondo Grandangolo.it la mail è stata effettivamente spedita da Gabriele Quaranta, il figlio del collaboratore. Insieme alla madre, Quaranta junior ha effettivamente lasciato la località protetta dove era stato nascosto dopo la decisione del padre di saltare il fosso e collaborare con la magistratura.
Un messaggio inquietante quello della famiglia del pentito che sarà evidentemente analizzato dalla pool della direzione antimafia di Palermo cooordinato dall’aggiunto Paolo Guido. Gli investigatori proveranno a capire se le quattro rivendicazioni sono arrivate in poche ore solo per una coincidenza. O se al contrario ci sia un motivo determinato dietro la decisione dei familiari di pentiti e dichiaranti: perché hanno voluto pubblicizzare il loro ripudio per i parenti rei di aver collaborato con la magistratura?
Di sicuro c’è solo che la dissociazione pubblica dei consanguinei di pentiti riavvolge indietro il nastro del tempo, almeno fino agli ’50. Ma d’altra parte non si tratta dell’unica componente arcaica che caratterizza la guerra dei clan tra la Sicilia e il Belgio. La faida era cominciata il 14 settembre 2016 con un agguato in un condominio di Liegi dove è stato ucciso Mario Jakelich, 28 anni, di Porto Empedocle, altra città in provincia di Agrigento.. I killer avevano anche ferito Maurizio Di Stefano, pure lui originario di Favara. Dove un mese dopo è stato ucciso Carmelo Ciffa. Poi, il 5 maggio 2017, Carmelo Sorce è stato abbattuto da una raffica di kalashnikov all’uscita dal suo ristorante nella città belga. Le stesse identiche modalità replicate a Favara 15 giorni dopo, il 23 maggio 2017, per provare ad assassinare il panettiere Carmelo Nicotra, che però è sopravvissuto all’agguato. Per quel tentato omicidio era finito indagato Emanuele Ferraro, abbattuto l’8 marzo di quest’anno nel centro del paesino siciliano. La faida continua e chi collabora con le forze dell’ordine deve mettere in conto di essere abbandonato pubblicamente dalla sua famiglia.