Per una volta tanto una buona notizia per la poesia viene da un grande quotidiano. Le testate più diffuse, pur nella loro diversità, sono spesso assolutamente omogenee tra loro per quanto riguarda la quantità e la qualità dell’attenzione riservata alla poesia, nicchia infinitesima nella già piccola nicchia delle pagine di cultura (che poi spesso sono posti dove trovi i gossip sull’ultimo amore di Al Bano mescolati con quelli sulle nuove tendenze letterarie): o l’assoluta noncuranza o un’attenzione che spesso si rivela soltanto la riedizione testarda delle rassegne frettolose (e a volta assolutamente improbabili) proposte negli anni precedenti. Più qualche paginata riservata agli esercizi in versi di questo o quel nome noto (sembra strano, ma qualche verso pare scappi di buttarlo giù persino a tantissimi insospettabili).
La buona notizia arriva da Sette supplemento settimanale del Corriere della Sera e dalla rubrica di Luca Mastrantonio, intitolata Ufficio poesie smarrite. Per una volta tanto si tratta di un’iniziativa coraggiosa, competente, adeguatamente approfondita anche e soprattutto nella scelta dei poeti da presentare. Come suggerisce il titolo non soltanto i “venerati maestri” (anche loro, ma scelti con cura tra coloro di cui ci si dimentica troppo spesso, Giovanni Raboni, ad esempio) ma anche l’opera di autori spesso interessantissimi, che questo o quel canone vigente hanno respinto ai margini e che meriterebbero ben altra attenzione, sia dalla critica, che dal pubblico.
È il caso del poeta di Pola, ma triestino d’adozione, Paolo Universo, una vera scoperta anche per me anni fa che devo al sagace acume e alle indicazioni di Luigi Nacci, poeta triestino anch’egli e attentissimo alla storia ultima di quella fantastica città fatta di incroci, ma che Universo con tagliente ironia definì “mitteleuropatica”. Universo è un poeta di razza, dalla sprezzatura raffinata e risentita, crudele e capace di guardare al mondo con uno stroboscopio di parole che spesso ribalta la superficie del senso comune delle cose, mescola e rende espressivo ogni lemma, lasciando spesso il lettore sbalordito da ciò che scorge sotto la scorza delle parole: “muggiscono trattori nelle stalle/ cavalli nitriscono/ frustati da acceleratori/ belano capretti/ appesi ai ganci nelle macellerie/ cantano i tordi nei piatti caldi/ accompagnati dalla polenta/ nell’aria rosa dal vento/ e lenta va la mucca/ al mattatoio”.
Il suo Dalla parte del fuoco è un gran libro, né può stupire che una personalità così complessa, pur all’indomani di un esordio prestigioso – sulle pagine dello Specchio Mondadori, con l’avallo di Sereni e Pontiggia – abbia poi preferito un percorso ben più appartato e scontroso, isolandosi fino alle soglie della pazzia. Ma, al di là di Universo, sono molti i nomi su cui Mastrantonio riporta la nostra attenzione e raramente il suo scandaglio delude: che si tratti dei versi sarcastici di Sandra Mangini – pubblicati sul Menabò e dedicati agli intellettuali suoi coevi, lodati sin da uno dei suoi evidenti bersagli, Pier Paolo Pasolini (“Intingendo privilegi e voci/ nel loro ‘BRAVO!’ si appendono/ con cautela dentro gli armadi./ In pigiami di broccato/ nelle loro chiese/ farciti di Hi-fi apparenze”) – o di quelli densi di un’amarezza spudoratamente sabiana di Daria Menicanti (“Non mi piaceva quella/ pace sicura, l’aria ferma/ rimanere seduta/davanti la finestra./ Così mi scelsi il peggio e presi/ l’uomo di un’altra”), ciò che scava dalla miniera del passato Mastrantonio è materiale prezioso.
Né chi scrive può resistere alla tentazione di far da suggeritore non richiesto, gettando sul tavolo i nomi di Emilio Villa, Edoardo Cacciatore, Francesco Leonetti, Adriano Spatola, Patrizia Vicinelli, Corrado Costa e Luigi Di Ruscio. A leggerli cambierebbe radicalmente il disegno della sperimentazione poetica a fine 900. Mastrantonio, in realtà, non è solo un giornalista, è anche scrittore e musicista in proprio, ma è lontano da ogni preconcetto di scuola (e di casta): ciò che lo guida è la curiosità e il gusto per il rischio, che sono attributi eminentemente poetici.
Non crede alle ideologie, Mastrantonio, e neanche ai canoni, ne conosce la definitiva storicità che li fa strutturalmente periclitanti e dunque guarda oltre gli steccati, scoprendo a volte panorami bellissimi e autori e autrici che sarebbe davvero un peccato dimenticare, spesso ben più avanzati, decisivi, coscienti di quanto la casella loro riservata dai canoni correnti faccia sospettare. Insomma, per una volta uno spazio per la poesia riservato su un media mainstream non delude, anzi fa sperare che prima poi quest’approccio si diffonda e che di poesia si parli sempre di più e – soprattutto – sempre meglio. Con buona pace dei “venerati maestri”, degli accademici canoni e dei soliti noti.