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Ong, la storia della “Stay Human” che fa riguadagnare un barlume di speranza nel genere umano

Vuoi per malafede, per incompetenza o semplicemente per ignoranza, a tanti piace immaginare il mondo del no profit per i rifugiati come un grande banchetto camuffato da opera umanitaria, dove giovani perditempo radical chic e attempati militanti di sinistra si prendono gioco della gente perbene, utilizzando i migranti e il buonismo come mezzi per estorcere fondi e fare la bella vita.

Benché questa bizzarra teoria complottista, ripetuta allo sfinimento a rete unificata sia molto popolare tra gli adepti dell’esecutivo in carica, la violenta offensiva del governo contro le ong del mare, e il ragliare fastidioso degli asini da tastiera, non sono stati ancora capaci di annichilire del tutto il buon senso in Italia. Prendiamo la storia della piccola “ong di terra” Stay Human, una di quelle storie che fanno riguadagnare un barlume di speranza nel genere umano (soprattutto nella sua variante italica).

L’associazione, una onlus, è stata fondata due anni fa da Musli Alevski, 30 anni, un giovane operaio di Pesaro – noto in questi giorni alle cronache per la denuncia presentata contro Salvini– con un cuore enorme e una memoria di ferro; un cuore enorme perché la sua onlus “Stay Human” è una piccola entità che si pone l’umile e mastodontico obiettivo di portare sollievo, sotto forma di beni di prima necessità, ai migranti intrappolati in Grecia. Memoria di ferro ferro perché Musli è nato in Macedonia, è di etnia rom ed è giunto in Italia negli anni ’90 come rifugiato, insieme alla famiglia, fuggita dall’ex Jugoslavia in rovine.

“I miei genitori hanno lasciato la Macedonia nel 1989, io sono cresciuto in Italia come profugo, in un campo nomadi. So cosa vuol dire doversi ricostruire una vita altrove e soprattutto so cosa significa essere discriminati”. A 16 anni la famiglia ha trovato casa a Pesaro, lui e il padre sono stati assunti come operai da una ditta locale. Dopo tanti sacrifici, finalmente, una vita normale ma il ricordo di quegli anni difficili è rimasto scolpito nella memoria: nel 2015 Musli ha trascorso le ferie in Macedonia, durante la crisi dei migranti. “Io e la mia famiglia guardavamo senza fiatare quelle immagini trasmesse dalla tv macedone; mia madre si è commossa rivedendo noi in quelle famiglie che fuggivano dalla guerra”. Il piccolo paese del sud est europeo si trovava nel cuore della rotta balcanica.

Cosi il giovane italo-macedone di Pesaro non ha pensato due volte a quale fosse la cosa giusta da fare: ha acquistato delle biciclette, le ha caricate su un furgone preso a noleggio e ha guidato fino alla frontiera meridionale del paese. “Dando un passaggio alle migliaia di persone che attraversavano il paese a piedi, avrei rischiato una denuncia per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ma lasciare delle biciclette al confine, poteva essere un modo per aiutare i migranti”. Questa esperienza ha maturato in lui la convinzione di dover fare qualcosa. Ad aprile 2016 era ad Idomeni, in Grecia, insieme a qualche altro volontario reclutato su internet per portare vestiti, medicine, scarpe, cibo, assorbenti e quanto altro può servire nella disastrata situazione dei centri ellenici per richiedenti asilo. A dicembre 2016 è partita un’altra spedizione, la prima sotto la bandiera della neonata “Stay Human”: questa volta i furgoni sono stati tre e i volontari 8, incluso un medico.

Musli vorrebbe tenere questa iniziativa informale e poco strutturata perché semplicità e un po’ di improvvisazione, hanno consentito loro di adattarsi bene alla situazione difficile dei campi profughi: “A volte non ci hanno permesso di entrare nei centri, e allora abbiamo distribuito fuori ciò che avevamo; altre abbiamo dato una mano alle organizzazioni già presenti sul posto ,altre ancora abbiamo solo passato un po’ di tempo con le famiglie e i bambini perché se vivi in condizioni disumane anche solo fare due chiacchiere puo’ alleviare la sofferenza”.

Man mano che le missioni aumentano di numero e portata, gli altri attivisti della Onlus l’impegno è diventando più grande ma la passione e la voglia di non limitarsi a provare compassione davanti ad uno schermo, è valsa le ferie utilizzate per le partenze e le spese che da soli devono sostenere. Cosi dopo una spedizione itinerante nell’estate 2017 che ha toccato anche Atene, per quest’anno sono già in marcia da qualche giorno: saranno in Grecia per un mese e questa volta la famiglia di volontari è cresciuta fino a 33 persone. E a “Stay Human” pensano già alla prossima missione.

Forse la miglior terapia contro l’odio sul web (e la sua declinazione ministeriale offline) è proprio un ritorno alle origini dell’umanitarismo, nella sua versione più semplice, spontanea e dal basso.