Il primo ordine di sfratto è del 2008 ma il fratello del Dandy della Banda della Magliana presentà un ricorso al Tar del Lazio che gli diede ragione ordinando una sospensione. Durata appunto anni, visto che solo recentemente il tribunale ha dichiarato il ricorso estinto
Sono arrivati nel cuore di Trastevere per mettere i sigilli al San Michele, storico ristorante del quartiere romano. Il motivo? Da dieci anni il proprietario non pagava l’affitto al comune. Sembra una delle tante operazioni dei vigili urbani per combattere l’illegalità nella Capitale e invece è qualcosa di più. Perché il ristorante che ha chiuso i battenti era gestito da Luciano De Pedis, fratello maggiore di Enrico, detto Renatino, il Dandy di Romanzo Criminale, storico capo della Banda della Magliana. A raccontarlo è il quotidiano Il Messaggero, che spiega come i tavoli, le cucine e la grande veranda che si affacciano sul lungotevere occupassero i locali del Complesso monumentale San Michele, che sono di proprietà comunale. Solo che da anni De Pedis non pagava al municipio quanto dovuto.
Il primo ordine di sfratto è del 2008 ma De Pedis senior, fratello di uno dei più sanguinosi criminali della storia capitolina ma evidentemente ben ferrato su norme e regolamenti, presentò un ricorso al Tar del Lazio che gli diede ragione ordinando una sospensione. Durata appunto anni, visto che solo recentemente il tribunale ha dichiarato il ricorso estinto. Il Primo Municipio ha quindi emesso una nuova ordinanza e i vigili del Gruppo Trevi sono arrivati a Trastevere nella serata di sabato 11 agosto: i sigilli al San Michele, dunque, sono scattati dieci anni dopo il primo ordine di sfratto.
La storia del ristorante, tra l’altro, incrocia quella di altri misteri italiani. Sì perché De Pedis senior comprò il locale da Giuseppe “Sergione” De Tomasi, amico di Renatino e padre di Carlo Alberto, l’uomo accusato nel 2005 di aver chiamato alla trasmissione Chi l’ha Visto durante una puntata su Emanuela Orlandi: “Se volete la verità cercatela nella tomba di Enrico De Pedis”. Cioè nella basilica di Sant’Apollinare, dove però gli inquirenti non trovarono nulla. La voce di Sergione De Tomasi, d’altra parte, fu indicata anni fa da una perizia fonica come quella che il 28 giugno del 1983 telefonò proprio alla famiglia di Emanuela Orlandi. “Manuela se n’è andata con uno che conosco, si annoiava troppo ma non vi preoccupate, torna a casa per il matrimonio della sorella”, disse un certo Mario. Inutile dire come i De Tomaso hanno sempre negato entrambe le circostanze e non sono mai stati indigati per quei fatti. “Ma vi sembra la mia voce quella? Io non parlo così e tra l’ altro mi esprimo in italiano, non in romanesco come quel tizio, non è la mia educazione”, disse Sergione De Tomaso alla stessa trasmissione di Federica Sciarelli.