Tra Bolloré Africa Logistics e l'azienda italiana c'è stata una lunga trattativa mai sfociata nell'acquisto. L'azienda di Ravenna ha fornito documenti riservati, i transalpini hanno via via ritoccato al ribasso la proposta iniziale senza mai presentare un'offerta vincolante e nel frattempo hanno ridotto le commesse. Risultato: la fondatrice ha dovuto vendere la casa di famiglia per pagare i debiti e la società è sull'orlo del fallimento
Non solo Telecom, Mediobanca e Mediaset. Negli interessi dell‘impero costruito in Italia da Vincent Bolloré c’è spazio anche per la logistica da e per l’Africa. Con i metodi duri, sia pur leciti, che mettono in ginocchio una piccola azienda di Ravenna, Adrialogica, ormai sull’orlo del fallimento. Che cosa è accaduto esattamente? Secondo il gruppo Bolloré, interpellato dal fattoquotidiano.it, assolutamente nulla dal momento che “non abbiamo mai avuto delle negoziazioni” con Adrialogica. Ma, secondo i documenti di cui siamo in possesso, c’è stata invece una lunga trattativa fra i francesi e l’azienda di Ravenna. Tutto perfettamente regolare, ma la procedura lunghissima ha finito per sfiancare la piccola azienda italiana. Innanzitutto fra le due imprese c’è stato un accordo per lo scambio di informazioni riservate cui è seguito poi un documento ufficiale francese di offerta non vincolante. E poi una serie di mail che hanno ritoccato al ribasso la proposta iniziale senza mai sfociare in un’intesa definitivamente vincolante per il gruppo Bolloré. Nel mezzo il calo delle commesse da parte del gruppo Bolloré ad Adrialogica che ha così visto svanire uno dei suo migliori clienti e l’ultima chance di rilancio.
Ma che cosa è successo esattamente? La storia risale a circa tre anni fa. Adrialogica è un’impresa con circa 3 milioni di fatturato operativa nel settore delle spedizioni in Costa d’Avorio, Camerun e Ghana, Paesi in cui è presente anche il gruppo francese con la divisione Bolloré Africa Logistics. Nata nel 2006, la società creata da Cristina Arlango è una piccola realtà rispetto al gigante francese. In compenso, nel nostro Paese, è al terzo posto dopo l’italiana Setoa e il gruppo franco-libanese Centrimex. Proprio per questo forse Adrialogica diventa un target per il gruppo francese che è fra le prime dieci realtà al mondo nella logistica da e per l’Africa, ma che in Italia stenta a decollare. Così, ad ottobre 2015, i vertici di Adrialogica vengono contattati dalla SDV LI (gruppo Bolloré) che si affida proprio all’impresa italiana per gestire i trasporti terrestri delle merci dai luoghi d’origine ai porti d’imbarco, oltre ad espletare le formalità doganali nella Penisola. Per Adrialogica, SDV LI, che poi si fonderà con Saga france per diventare Bolloré Logistics, é infatti uno dei clienti più importanti capace di generare un margine operativo lordo da circa 70mila euro annui.
Pur essendo in lieve utile, Adrialogica ha delle difficoltà per alcuni crediti bloccati in Camerun dove però il gruppo Bolloré domina e non dovrebbe aver difficoltà a sbloccare la situazione. Così la Arlango decide di accettare le avances francesi. La questione viene anche discussa a Parigi dove l’azienda di Ravenna ribadisce l’esigenza di recuperare i crediti incagliati per far fronte alle pendenze con le banche e con i fornitori. Esaminata la documentazione, il gruppo francese si dice pronto ad andare avanti: l’azienda transalpina è del resto interessata a chiudere l’operazione per mettere mano al portafoglio clienti e assicurarsi il know how dell’impresa di Ravenna che fornisce tutti i documenti riservati richiesti dai francesi sulla base di un primo accordo di riservatezza.
A marzo 2016, Bolloré Logistics mette nero su bianco una prima lettera d’intenti non vincolante da 150mila euro, più il 30% del margine lordo dei primi cinque anni di attività. “Stante la marginalità 2016, l’offerta avrebbe portato nelle nostre casse circa 730mila euro, al netto del traffico svolto per il gruppo Bolloré (382mila euro). La proposta, che includeva lo sblocco dei crediti africani incagliati, ci è sembrata interessante”, ammette la Arlango, che è decisa a dismettere l’azienda. Ma, ad un certo punto, qualcosa non va come dovrebbe. Secondo quanto riferisce la Arlango, l’azienda di Bolloré inizia inspiegabilmente a tagliare le commesse. Di conseguenza Adrialogica va in affanno. Così i francesi, cinque mesi dopo la prima proposta non vincolante, riducono drasticamente l’ipotesi di acquisto a 380mila euro. Il motivo? Adrialogica non è più quella di una volta. “Abbiamo contestato questa seconda offerta perché riteniamo che il gruppo Bolloré ci abbia tolto lavoro approfittando delle informazioni ricevute”, prosegue la Arlango che racconta come i francesi “non hanno mai recuperato un euro dei crediti incagliati, ma hanno progressivamente tagliato le commesse fino ad azzerarle nel maggio 2016”.
La situazione diventa giorno dopo giorno più pesante finchè, a dicembre 2016, non arriva da Parigi una terza ipotesi di lavoro ulteriormente peggiorativa: 160mila euro, il 78% in meno rispetto alla cifra offerta all’inizio della trattativa. “Nonostante l’offerta al ribasso il gruppo Bolloré si sarebbe occupato di sbloccare i nostri incassi in Africa – spiega Arlango – All’epoca erano 500mila euro, ora circa 300mila. Lo sblocco dei crediti avrebbe permesso ad Adrialogica di sistemare molti debiti bancari e di poter in effetti liquidare senza traumi, al limite con un piccolo mutuo personale nell’ordine di 200mila euro e dunque facilmente sostenibile con il mio stipendio”. Ma anche questa proposta francese evapora e, con il trascorrere del tempo, a Ravenna arriva un’ultima offerta informale: acquistare solo i crediti incagliati per circa 230mila euro e liquidare l’azienda italiana. Tuttavia la cifra non è sufficiente a pagare i debiti dell’impresa di Ravenna. Inoltre “i francesi mi hanno chiesto di firmare una carta privata in cui assicuro che Adrialogica non fallirà e di accettare la compensazione dei crediti fra la sua azienda e il gruppo Bolloré. Un accordo che, in caso di fallimento, implicherebbe una mia personale responsabilità per aver pagato un creditore prima degli altri”, conclude la Arlango che intanto ha venduto la casa di famiglia nell’intento di riuscire almeno a pagare i debiti legati a banche e personale. “Quello che abbiamo subito, ha tolto all’azienda ogni possibilità di potersi assestare, privandoci di tutti gli asset. Pertanto oggi, anche riprendendo da zero, sarebbe impossibile riuscire a ricostruire quello che era stato fatto negli undici anni di vita dell’impresa”, conclude amaramente.