Nick Romaniuk, coordinatore delle operazioni Sar per SOS Mediterranée: con questi cambiamenti operativi "il potenziale in termini di perdite di vite è più alto". Un esempio: "Appena abbiamo lasciato la zona libica domenica abbiamo ricevuto un allarme per un barchino di gomma, a est di Tripoli: 150 persone a bordo e la barca che sta prendendo acqua. Non conosco gli sviluppi, siamo alla ricerca di informazioni e speriamo in un esito senza perdite di vite. Se non ci dovessero essere notizie, decidete voi cosa possa voler dire"
“Che succede se nessuno ci accoglie?”. Ines è marocchina e ha perso il marito in Libia l’anno scorso. Lo hanno ucciso. Viveva lì da cinque anni, dopo averlo sposato. Ora viaggia da sola. “Lì non ho nessuno. Vorrei raggiungere la mia famiglia in Francia“. Lo scafista, racconta, gli aveva promesso un viaggio “su una barca grande, solo quattro persone”. Aquarius l’ha soccorsa in un barchino di legno con altre 24 persone, senza motore. “Quando l’ho visto ho detto: ok, tieniti i soldi, ma io non parto con quello. E lui mi ha detto: certo che parti. Altrimenti ti uccido“.
L’Aquarius è nelle acque di mezzo tra due Stati, in attesa di capire dove e quando le 141 persone salvate il 10 agosto scorwwso davanti alle coste della Libia verranno disimbarcate. La nave operata da SOS Mediterranée in collaborazione con Medici senza Frontiere, è arrivata ieri mattina tra Linosa e Malta: una “overlapping zone” soggetta a entrambi i paesi. In termini di provviste – cibo, acqua, forniture mediche, la nave può resistere per giorni. Dal punto di vista medico, “le persone a bordo sono stabili”, spiega David, il medico di Msf. “Ma molti di loro hanno la scabbia, per cui qui non possiamo cominciare il trattamento che è molto lungo. Altri, tanti, soffrono di malnutrizione cronica”. Ci sono persone ferite. Un uomo – viene dal Bangladesh – ha il braccio appeso al collo e mostra la cicatrice di uno sparo alla spalla: il proiettile è ancora dentro, racconta che sono stati i libici. “E poi c’è l’aspetto psicologico: dopo tutto quello che hanno passato in Libia essere qui a bordo, comunque su una nave – per quanto nutriti e accuditi – non può essere una soluzione a lungo”.
“Abbiamo informato i centri di coordinamento italiano e maltese e che ci saremmo messi in una posizione di stand-by mentre cerchiamo di contattare altre autorità marittime competenti per provare a trovare un place of safety per sbarcare queste persone”, spiega Nick Romaniuk, coordinatore delle operazioni di ricerca e soccorso per SOS Mediterranée a bordo di Aquarius. 76 minorenni che viaggiano da soli, una donna incinta quasi al termine, una bimba di 10 mesi e altri bambini di meno di cinque anni. “Per il momento sia Malta che Italia ci hanno negato l’accesso alle loro acque territoriali e non stanno coordinando per la ricerca di un posto sicuro”.
Nick, avete chiesto ai governi europei di assegnare un porto di sbarco per queste 141 persone.
“Aquarius sta parlando con le competenti autorità marittime, stiamo seguendo le regole per trovare una soluzione. Questo è tutto. Di certo stiamo informando della situazione: è completamente inaccettabile che 141 persone, sapendo quello che hanno passato negli ultimi mesi e forse anni, siano bloccate su una nave in mezzo al mare aspettando che i paesi europei prendano una decisione. Vengono dall’Eritrea, dalla Somalia, sono particolarmente vulnerabili. In condizioni normali, all’interno dell’Europa, verrebbe loro offerta protezione. Fermarci in mezzo al mare, giocare a scacchi con l’Aquarius non è accettabile. Per le persone soccorse, intendo: meritano di essere sbarcate il prima possibile in un posto dove possano essere curate. Qui ci sono malati e feriti: hanno bisogno di una struttura medica appropriata a terra. Devono essere sbarcati il prima possibile”.
La ‘chiusura dei porti’ da parte dell’Italia cosa ha rappresentato per voi?
“Ufficialmente, i porti italiani non sono chiusi. Ufficiosamente, non stiamo sbarcando le persone in Italia e l’Aquarius non è più basata nel vostro paese. Nel passato le operazioni di soccorso sono state coordinate dal centro italiano ed erano efficaci, veloci, lisce: le persone venivano rapidamente portate in salvo in tempi ragionevoli. Questo non sta più succedendo. In un primo momento c’è stato un cambio di coordinamento: l’Imrcc (il centro marittimo di coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso di Roma, ndr) cominciava un evento Sar e informava l’Aquarius affinché procedesse nella posizione dell’imbarcazione in difficoltà. Nel mentre avveniva un ‘cambio di coordinamento’ con l’entrata in gioco dei libici: da lì in poi non ricevevamo più informazioni, il che rallentava pesantemente le operazioni di soccorso. Ora gli italiani non segnalano più: l’intero processo è in mano ai libici. Ma questo vuol dire che all’Aquarius, ad esempio, non arrivano informazioni su eventuali navi in difficoltà nell’area. Il che significa che il potenziale in termini di perdite di vite è alto. Nei giorni scorsi siamo stati fortunati, e sono state fortunate le persone soccorse, per il fatto che la nostra nave fosse in zona e che li abbia avvistati. Da fuori, dai libici che dovrebbero coordinare, non ci è arrivata alcuna informazione”.
A quali paesi Aquarius ora chiederà un porto di sbarco?
“Non entrerò nei dettagli, lo farò solo dopo aver contattato le autorità: penso che abbiano il diritto di sapere prima dei media. L’Aquarius non ha mai operato autonomamente, ma sempre in base alle indicazioni delle autorità marittime competenti. Ed è quello che continueremo a fare. Aspettiamo istruzioni: abbiamo abbastanza cibo, acqua, le persone sono stabili e non ci sono problemi al momento. Se la situazione dovesse cambiare, informeremo le autorità della zona. Ma sono certo che se ci fossero serie questioni di salute, le autorità maltesi e italiane interverrebbero con un’evacuazione medica immediata: interventi magari caso per caso, ma sono certo che non lascerebbero le persone soffrire più di quanto non stiano già soffrendo”.
I libici, dopo i soccorsi, hanno “ordinato” ad Aquarius di trovare un altro centro per l’assegnazione di un porto sicuro. Malta e Italia hanno detto che non sarebbero subentrate. Quindi, teoricamente, i libici stanno ancora coordinando?
“Tecnicamente, se nessun altro centro subentra, resta Tripoli l’autorità di coordinamento. Tutte le operazioni di soccorso in cui siamo stati coinvolti – tre, le due del 10 agosto che hanno portato a bordo le 141 persone salvate e la terza, l’avvistamento ieri del barchino con a bordo 11 tunisini diretti a Lampedusa (dove nella notte tra il 12 e il 13 agosto sono sbarcati circa 100 migranti a bordo di 9 barchini, ndr)- sono state inizialmente coordinate dal JRCC libico. Dopo i primi due soccorsi i libici, in qualità di autorità di coordinamento, hanno informato l’Aquarius che avrebbe dovuto contattare un altro centro di coordinamento marittimo per coordinare il posto sicuro di sbarco. Al momento abbiamo ricevuto dei no da Malta e Italia, il che significa che il coordinamento rimane in teoria ai libici. Questo sapendo anche che l’Aquarius non sbarcherà le persone in Libia: non possiamo farlo, per la sicurezza delle persone a bordo e dal punto dei diritti umani. La Libia – che comunque non è stata proposta al momento da nessuno come luogo di sbarco – non è un porto sicuro e questo per noi è un punto non negoziabile: seguiamo le istruzioni dall’autorità marittima competente, me devono essere istruzioni legali“.
Quindi, di fatto, non c’è un centro di coordinamento al momento.
“Sembra questo il caso, sì. Il coordinamento è stato abbastanza abbozzato, vago, fin dall’inizio. Mai i libici hanno impedito le operazioni di salvataggio da parte dell’Aquarius, ma non hanno attivamente passato informazioni per facilitare le attività di ricerca e soccorso nell’area. Mai abbiamo ricevuto aggiornamenti o informazioni in merito al primo barchino di legno che abbiamo soccorso, che è stato in mare per 36 ore almeno. Né abbiamo avuto informazioni sulla seconda imbarcazione. Quando li abbiamo avvistati, abbiamo informato il centro di coordinamento libico che avremmo proceduto al soccorso. E i libici ci hanno autorizzato a procedere”.
Con l’Aquarius qui, a 30 miglia da Malta e Italia, e con Open Arms in Spagna, non ci sono più navi ong in questo momento nel Mediterraneo Centrale di fronte alla Libia.
“L’Aquarius non è una soluzione al problema. Non diciamo che siamo qui per risolvere, né certamente dovrebbe essere così. Appena abbiamo lasciato la zona libica domenica abbiamo ricevuto un allarme per un barchino di gomma, a est di Tripoli: 150 persone a bordo e la barca che sta prendendo acqua (per Aquarius non si tratta del gommone con 114 persone soccorso da Malta e dettaglia qui le caratteristiche della segnalazione e del natante, ndr). Abbastanza preoccupante. Ci sono altre imbarcazioni nell’area adatte a portare a termine operazioni SAR e portare le persone in un place of safety, preferibilmente in Europa. E non parlo della Guardia costiera libica: se porti le persone in Libia non è un posto sicuro, e per me non è un salvataggio. Non conosco gli sviluppi, siamo alla ricerca di informazioni e speriamo in un esito senza perdite di vite. Se non ci dovessero essere notizie, decidete voi cosa possa voler dire“.
(Foto di Angela Gennaro)