Il critico gastronomico Edoardo Raspelli, 69 anni, ha rivelato di aver subito una violenza di gruppo durante l’adolescenza. Un episodio “brutto, terribile”, che ha cancellato a fatica dai ricordi per oltre quarant’anni, e che ora ha deciso di rivelare al settimanale Cronaca Vera perchè, dice, “adesso che sto affrontando la vecchiaia” è arrivato il momento di “tracciare il bilancio della vita”. “Era estate, vacanze in un collegio con altri ragazzi a Chiavari – ha raccontato-. Quasi un castello in cui ogni studente aveva una stanza. Io ero nella mia. Un pomeriggio mi assalirono in sei mentre io stavo riposando sul letto nella mia camera. In quattro mi bloccarono, gli altri mi tirarono giù i pantaloni. Mi violentarono“.
Un vero trauma per un giovane come lui, così Edoardo decide di nascondere l’accaduto. Non ne parla con nessuno: né con il padre Giuseppe “fascista convinto, al punto da continuare a indossare la camicia nera per le strade di Milano anche dopo il 25 aprile”, né con la madre Carla, “una donna moderna, assai sportiva: gareggiava in bicicletta prima della guerra e primeggiava nella scherma”. Due anni dopo, nel 1966, Raspelli va al cinema proprio assieme a mamma Carla. Danno il film Le amicizie particolari, la storia di due maschi adolescenti prima amici, e poi uniti da un amore tanto puro quanto scabroso per il collegio gesuita nel quale vivevano. Nel buio della sala il sedicenne Edoardo scoppia a piangere: “Mia madre mi guarda sorpresa e mi dice, scandendo le parole: ‘Piuttosto che tu fossi come loro, preferirei che fossi morto‘. Io non ero come loro, ma quelle parole le trovai ugualmente terribili. E forse per questo preferii dimenticare tutto“.
Se il bisogno di raccontare emerge soltanto adesso, conclude Raspelli, “è perché sento il peso della vita che corre: muore gente che conosci, un bimbo a cui facevi da padrino, un amico caro. E il file, chissà perché, torna leggibile”.
Raspelli, è noto per le sue trasmissioni televisive di cucina ma ha un passato come cronista di “nera” nella Milano degli anni Settanta. Il suo primo articolo per il Corriere d’Informazione lo ricorda come fosse ieri: “Era il 24 luglio 1971 e fu per ‘il delitto della Cattolica‘, il caso ancora irrisolto dell’uccisione di Simonetta Ferrero, una studentessa ventiseienne ammazzata con trentatré coltellate nel bagno dell’università”. Ma c’è anche un’altra data, “il 17 maggio 1972”, che è rimasta indelebile nella sua memoria: “Fui il primo giornalista ad arrivare in via Cherubini, avevano appena sparato al commissario Luigi Calabresi…”.