Renzo Rosso è professore ordinario di Costruzioni Idrauliche e Marittime e Idrologia nel Politecnico di Milano: "Non è colpa del fiume, nel senso che la pila non è stata scalzata"
“Non è colpa del fiume, nel senso che la pila non è stata scalzata“. Renzo Rosso è professore ordinario di Costruzioni Idrauliche e Marittime e Idrologia nel Politecnico di Milano. Il crollo di ponte Morandi, che ha ucciso almeno 22 persone, “non è dovuto all’erosione o a una ragione idraulica“.
Una lingua d’asfalto lunga 1.182 metri, sospesa a 45 metri d’altezza su tre piloni in cemento armato alti 90 metri, con una luce massima di 210 metri. Il viadotto, progettato da Riccardo Morandi e costruito tra il 1963 e il 1967 dalla Società Italiana per Condotte d’Acqua, sovrastava il torrente Polcevera, tra i quartieri di Sampierdarena e Cornigliano. “Sicuramente è un ponte molto ardito e delicato dal punto di vista strutturale e ha uno schema estremamente complicato – spiega Rosso – ad esempio, gli stralli non sono realizzati in metallo ma in cemento armato precompresso, perché all’epoca in cui venne costruito era un’innovazione tecnologica importante farli in quel modo. Esemplari simili furono costruiti in diverse parti del mondo”.
Una struttura complessa, caratterizzata nel corso dei decenni da una continua necessità di manutenzione. “E’ stato finito nel 1967 e dopo il completamento è sempre stato un cantiere“, conferma il docente. Sull’infrastruttura, ricorda in una nota Autostrade per l’Italia, “erano in corso lavori di consolidamento della soletta del viadotto e come da progetto, era stato installato un carro-ponte per consentire lo svolgimento delle attività di manutenzione”. “Quindi non era un ponte abbandonato a se stesso – prosegue Rosso – la manutenzione della soletta del viadotto non ha a che fare con la tenuta strutturale del ponte, però in una struttura così complessa basta che un elemento vada in crisi perché quest’ultima si propaghi facilmente al resto della struttura”.
Il viadotto è stato costruito in quel modo in quel punto perché allora era “l’unico modo per passare in quota, a un’altezza di 50 metri, su un fiume che è largo 100 metri per evitare di mettere i piloni in mezzo al fiume. Un fiume che nel 1970 esondò e fece un sacco di morti. E’ una grande opera di ingegneria, ma oggi probabilmente non verrebbe costruito più così”.
Durante il crollo del viadotto Genova era spazzata da un violento nubifragio. Una “bomba d’acqua”, come la chiamano i meteorologi, che si era abbattuta sulla città dalla mattinata. “In passato si sono verificati fenomeni di risonanza degli agenti atmosferici, come accaduto a Tacoma, negli Stati Uniti, il cui ponte venne giù nel 1940 anche a causa di forti raffiche di vento. Ponte Morandi, invece, è un ponte ardito ma abbastanza poco sensibile al vento”.