“Non posso accettare di essere considerato un terremotato, qui ci sono delle colpe, non è stato un evento naturale. E chi non ha fatto la manutenzione del ponte mi deve indennizzare: io voglio ricostruire la vita che Autostrade mi ha distrutto”. Dopo 60 anni Ennio Guerci ieri ha lasciato la sua casa, probabilmente per sempre. Lui è uno dei 632 sfollati di Genova, gli inquilini di quei palazzi che sorgono sotto il pilone del ponte Morandi rimasto in piedi, dopo il crollo di martedì 14 agosto. Case ed edifici evacuati all’improvviso e che, ha fatto sapere oggi il sindaco Marco Bucci, quasi sicuramente saranno demoliti. E con loro anni di sacrifici, vita e ricordi. “Lì c’è tutta la nostra vita e a malapena ci fanno entrare a prendere dei vestiti”. Oggi parte degli sfollati si sono radunati in via Fillak in attesa di notizie. Gli unici a poter entrare negli edifici sono stati gli uomini dei Vigili del fuoco. “Motivi di sicurezza” hanno spiegato, dopo aver fatto le verifiche sulla stabilità del pilone del viadotto. Domani saranno recuperati documenti e oggetti personali, oggi la priorità è stata data agli animali domestici, restituiti ai padroni in attesa in strada. Ma la tensione resta altissima. E così davanti alle transenne che separano le persone dalle loro case e da cui si intravede il pilone dietro gli alberi, qualcuno è scoppiato in lacrime, ha urlato e si è sfogato con l’assessore del Comune, arrivata per informare della possibilità di ospitalità in alcune delle strutture messe a disposizione dall’amministrazione. Altri invece pensano già a come organizzarsi per riavere la propria vita. “Non andremo nelle case popolari, siamo pronti a protestare. Vogliamo ritornare a vivere in una casa dignitosa come quella che avevamo e che Autostrade ci ha tolto”
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