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Ponte Morandi, costi benefici e modalità della revoca ad Autostrade. E gli accordi con i concessionari? C’è il segreto di Stato

Conti alla mano, basandosi sull'articolo 9 della Convenzione siglata nel 2007, togliere la gestione alla società dei Benetton costerebbe 20 miliardi. Che verrebbero recuperati ai caselli, in caso di "nazionalizzazione", in meno di un decennio. Il cuore delle concessioni è però negli accordi con i singoli concessionari: sono quelli che ne regolano gli aspetti economici e che in Italia sono mantenuti segreti

Lo Stato dovrà sborsare circa 20 miliardi di euro per togliere ad Autostrade per l’Italia di Atlantia del gruppo Benetton la concessione per la gestione di metà della rete autostradale nazionale, 3mila chilometri su 6mila totali. A quel punto la stessa concessione potrà essere messa a gara e affidata a chi offrirà le condizioni migliori sia dal punto di vista economico sia gestionale. Non è escluso che lo Stato intenda riprendersi la concessione ripristinando la situazione precedente alla cosiddetta privatizzazione delle autostrade voluta dai governi di centrosinistra alla fine del secolo passato. Nel caso in cui lo Stato tornasse a gestire in prima persona i 3mila chilometri ora in mano ai Benetton recupererebbe ai caselli nel giro di meno di una decina d’anni i 20 miliardi che ora deve impegnare.

I 20 miliardi in questione sono il risultato di un calcolo effettuato tenendo conto dei contenuti della convenzione unica che finora aveva legato il concedente Stato al concessionario Benetton. Tale atto risale al 2007 e fu voluto dall’allora ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, e successivamente ratificato da una legge. Allegati alla convenzione unica ci sono poi una serie di atti aggiuntivi e di allegati, relativi alle singole concessioni, tenuti gelosamente segreti e in larga parte ancora sconosciuti. Questi documenti regolano nel dettaglio e dal punto di vista concreto i contenuti economici della convenzione con una serie di calcoli e di formule di difficile decrittazione perfino per gli addetti ai lavori. In pratica gli allegati segreti sono il cuore della concessione, ma sono un segreto di Stato.

L’articolo 9 della Convenzione del 2007 prevede che “l’indennizzo dovuto dal concedente al concessionario è pari a un importo corrispondete al valore attuale netto dei ricavi della gestione (…) sino alla scadenza della concessione”. Conti alla mano, basandosi su questo testo, lo Stato deve riconoscere ai Benetton 21 miliardi di incassi futuri previsti da cui deve però detrarre i debiti finanziari contratti dai Benetton con le banche e i risparmiatori che ammontano a circa 10 miliardi di euro e che lo Stato si accollerebbe. A quel punto resterebbero circa 11 miliardi di euro da consegnare ai Benetton. In base alla convenzione lo Stato potrebbe però applicare una penale a suo favore del 10 per cento sugli 11 miliardi. Il risultato finale è quindi questo: lo Stato dovrà sborsare 10 miliardi direttamente ai Benetton e altri 10 per effetto dell’accollo dei loro debiti.

La procedura prevista dall’articolo 9 della convenzione per la revoca della concessione è abbastanza macchinosa e diversa da quella seguita finora dal governo Conte che al momento appare soprattutto come una mossa di natura politica. Il primo passaggio è la notifica da parte dello Stato concedente al concessionario dell’intenzione di revoca sulla base di argomentazioni specifiche e motivate. Il concessionario ha 90 giorni di tempo per presentare le sue controdeduzioni. Se tra le parti permangono motivi gravi di dissenso e non vengono superati nei 60 giorni seguenti, i ministri dell’Economia e dei Trasporti preparano di concerto un decreto di revoca che viene registrato dalla Corte dei Conti.

La convenzione prevede anche altre misure sanzionatorie che non hanno niente a che vedere con la decadenza. Si tratta dei 150 milioni di euro di penale di cui ha parlato il vice presidente del Consiglio, Luigi Di Maio. La convenzione stabilisce infatti che il concedente Stato possa in casi gravi e motivati applicare una sanzione non superiore al 10 per cento del fatturato della società del concessionario e non superiore in cifra assoluta ai 150 milioni. In teoria lo Stato avrebbe tutti gli strumenti e il potere per verificare l’operato sia dei Benetton sia degli altri concessionari. In passato questa funzione di vigilanza e controllo era in capo all’Anas, ma da una decina d’anni il compito è stato assegnato al ministero dei Trasporti dove è stata istituita una direzione apposita per la Vigilanza autostradale. Per un quindicennio la guida di quel delicatissimo incarico è rimasta in mano allo stesso alto funzionario, Mauro Coletta, dal 2001 al 2006 in qualità di dirigente Anas e successivamente e fino a un anno fa come dirigente del ministero.

A Coletta è subentrato nell’agosto del 2017 Vincenzo Cinelli che fino ad ora non risulta abbia preso provvedimenti di un qualche rilievo nei confronti dei concessionari. L’articolo 3 della convenzione precisa in dettaglio quali sono gli obblighi del concessionario Benetton. Tra questi il principale consiste nella preparazione e nell’invio al ministero dei programmi di manutenzione previsti sulla rete. Il ministero avrebbe il compito di valutarli indicando le eventuali integrazioni e modifiche. E’ stato fatto? I dirigenti di Autostrade per l’Italia sostengono di aver concordato con il ministero i programmi di intervento lasciando intendere che tutto ciò che è stato fatto o non fatto sia sul ponte Morandi di Genova sia altrove ha avuto il via libera ministeriale. E quindi dal loro punto di vista appare inconcepibile che lo stesso ministero e il governo ora intendano revocare la concessione. In generale, secondo quando risulta al ilfattoquotidiano.it negli uffici ministeriali della Vigilanza autostradale giacciono numerosi progetti e programmi di intervento presentati dai concessionari e mai approvati.