“Interventi di retrofitting strutturale del Viadotto Polcevera al km 0+551″. A leggerlo con il nome ‘tecnico’ che gli avevano assegnato, le migliaia di persone che ogni giorno lo percorrevano non ci avrebbero capito nulla. Ma dietro quell’etichetta formale, c’è la certezza che Autostrade avesse capito quanto il ponte Morandi, collassato il 14 agosto inghiottendo oltre 40 persone e lasciandone senza casa 600 e più, necessitasse di interventi radicali di manutenzione sulle strutture portanti. Eppure la “necessità” era già nota da tempo, almeno stando alle carte del progetto di rifacimento del pilone più vicino alla città, datate Anni Novanta che mettevano in guardia sullo stato di salute.
Gli stralli e la gara ristretta record di Autostrade
Tutto gira intorno a quelli che in gergo vengono chiamati “stralli”. Ovvero i tiranti dei viadotti che tengono su tutta la struttura. Proprio uno di quelli è andato giù, assieme al pilone centrale. Autostrade aveva intenzione di “sostituirli” e per questo aveva bandito una gara ristretta, per accelerare i tempi, dall’importo maxi: 20 milioni di euro. I lavori avrebbero dovuto vedere la luce tra fine settembre e i primi giorni di ottobre e sarebbero durati due anni, secondo le previsioni del progetto. Un’accelerazione risultata comunque tardiva.
La stampella negli Anni Novanta: “C’era preoccupazione”
Non erano i primi. Ed è uno dei punti sui quali la procura di Genova guidata da Francesco Cozzi dovrà fare chiarezza. Perché il viadotto dell’A10 era già stato rimaneggiato profondamente, ma solo in parte. Non solo con quei lavori che i residenti di Sampierdarena – e chiunque lo utilizzasse con frequenza – dicono che non finissero praticamente mai. C’è una data spartiacque, il triennio 1992-1994. “Il professor Francisco Martinez con una squadra di tecnici tra i quali un collaboratore di Morandi (Francesco Pisani, ndr) erano intervenuti per rinforzare uno dei piloni, quello lato Genova“, dice a Ilfattoquotidiano.it Pier Giorgio Malerba, docente di Teoria dei ponti al Politecnico di Milano. “Gli stralli hanno un ‘esoscheletro’, sono stati rivestiti con dei tiranti nuovi che di fatto coprono quelli vecchi, mai tolti – spiega – Una sorta di sarcofago“. Visibile a occhio nudo perché una delle ‘V rovesciate’ che sostenevano il ponte è ricoperta da una guaina di gomma nera mentre le altre hanno ancora il calcestruzzo a vista. “Già ai tempi c’era preoccupazione”, ricorda Malerba.
Il progetto: “Necessità di un ripristino generale”
E in effetti in un abstract del progetto dell’epoca, ancora circolante in Rete, il quadro appare chiaro: “Le analisi e le valutazioni (…) hanno sottolineato la necessità di un ripristino generale del ponte con interventi particolari localizzati e la necessità di un rinforzo strutturale del pilone 11″. Dopo quel tipo di intervento, ricordava l’architetto Giovanna Franco, docente all’università di Genova, in un articolo del 2003, le apposite strutture provvisionali usate per i lavori, erano persino “rimaste in dotazione della società Autostrade”. Ma la “necessità” nei venticinque anni successivi non si è tradotta in altri interventi importanti di maquillage fino alla gara ristretta di giugno, perché, sostiene Autostrade, le attività di monitoraggio non facevano immaginare l’esistenza di un pericolo imminente. Qualcosa però, forse, era cambiato negli ultimi tempi, visto la via breve decisa per far partire i lavori.
Diverse particolarità della struttura: “Poco robusta”
Un viadotto come quello ideato da Morandi, stando al docente del Polimi, è strutturalmente “poco robusto” e per questo”può avere una durata media di vita in sicurezza dimezzata rispetto a un viadotto di concezione classica che inizia a ‘decadere’ dopo mezzo secolo”. Anche perché, ricorda Malerba, è stato uno dei primi grandi ponti strallati al mondo, ovvero di quel genere “con i tiranti inclinati che scendono e sostengono il piano stradale” dando una fisionomia simile a quella del Ponte di Brooklyn, come l’opera di Morandi era stata ribattezzata. “Ma sotto il profilo ingegneristico – specifica – sono imparagonabili”. All’epoca, spiega il docente, fu “un’opera notevole” ma probabilmente tirata su con “eccessiva fiducia nei materiali utilizzati”. E poi, aggiunge, “non c’era un’approfondita conoscenza di quanto gli agenti atmosferici ammalorino” le infrastrutture.
Come funzionano gli stralli e l’importanza della manutenzione
Gli stralli non hanno cavi a vista, ma sono “un blocco di calcestruzzo precompresso” che con un “concetto particolarissimo”, lo definisce Malerba, subiscono una decompressione quando vengono ‘agganciati’ al carico, ovvero alla sede stradale. Dove, aggiunge, sono presenti un grande numero di giunti (le solette che tengono insieme i pezzi di calcestruzzo). “Parti vulnerabili – aggiunge – che ‘esaltano’ il peso che il viadotto deve sopportare. Il passaggio dei mezzi è come una piccola ma frequente martellata“. Questo, conclude il docente del Polimi, “influenza la struttura e, assieme ad altri aspetti tecnici, come un diverso scarico dell’acqua, può creare un ‘effetto domino’“. Qualcosa di molto simile al collasso del 14 agosto.