Il Boston Globe ha chiesto a tutti i media americani di pubblicare un editoriale a sostegno della stampa libera. Hanno aderito all'iniziativa anche il New York Times, il britannico Guardian e alcune tra le testate provinciali più importanti, tra cui il Topeka Capital-Journal, unico a sostenere il presidente nel 2016 - che intanto non cambia registro e twitta: "Cercano di far male alla gente"
“Non siamo nemici del popolo”, così oltre 350 testate statunitensi si sono schierate contro la campagna di attacchi alla stampa libera condotta dal presidente Donald Trump. La mobilitazione è stata guidata dal Boston Globe che ha chiesto a tutti i media americani di pubblicare oggi, 16 agosto, un editoriale a sostegno della stampa libera. È da tempo, infatti, che Trump etichetta i giornalisti e i quotidiani che non condividono la sua linea politica come “nemici del popolo” o “fabbricatori di fake news”, in quella che i media stessi definiscono una “guerra sporca alla stampa”. Hanno aderito all’iniziativa anche il New York Times, il britannico Guardian e alcune tra le testate provinciali più importanti – come Denver Post e Miami Herald – e anche il Topeka Capital-Journal l’unico che nel 2016 aveva sostenuto la campagna elettorale dell’attuale presidente.
Ma Donald Trump non sembra intenzionato a voler cambiare registro. Il diretto interessato dell’iniziativa promossa dal Boston Globe, dopo aver dichiarato di non desiderare altro se non una stampa libera, rincara la dose e twitta: “la stampa è libera di scrivere e dire qualsiasi cosa voglia, ma molte delle cose che dice sono fake news”. E secondo il presidente i giornali pubblicherebbero queste notizie false “a sostegno di una agenda politica o semplicemente per cercare di far male alla gente”, chiudendo il suo comunicato con un “onestà vince”.
Il giornale di Boston, accompagnando il suo editoriale con l’immagine stilizzata della punta di un pennino con la sagoma degli Stati uniti al centro, ha paragonato il presidente ad “un ciarlatano di una volta che getta polvere magica o acqua su una folla piena di speranze”. “Sostituire una libera stampa con media gestiti dallo stato è stato sempre in cima all’agenda di un regime corrotto che intende controllare un Paese” si legge ancora sul giornale americano. Il punto focale di chi oggi si è schierato per una stampa libera negli Usa è che in gioco ci sia proprio il ruolo dei media. Denigrare e delegittimare i media, infatti, indebolisce la loro funzione di “controllori” del governo – oltre che mettere in pericolo la garanzia costituzionale del Primo Emendamento sulla libertà di stampa.
In response to a call from the @BostonGlobe, more than 200 newspapers big and small, including this one, are speaking up in defense of America’s #FreePress. https://t.co/nGpH1CP5PW
— NYT Opinion (@nytopinion) 15 agosto 2018
Il New York Times, che assieme alla Cnn è uno dei bersagli più frequenti delle critiche di Trump, ha pubblicato il suo editoriale intitolandolo: A free press needs you – “La stampa libera ha bisogno di te”. E dopo aver citato una sentenza della Corte Suprema del ’64 in cui si afferma che la “discussione pubblica è un dovere politico”, il giornale newyorkese ha definito gli attacchi del presidente americano “pericolosi per la linfa vitale della democrazia“. A risentirne sono specialmente quei quotidiani più piccoli già colpiti della crisi economica. E per questi, l’editoriale del The New York Times si conclude con un invito ai lettori ad abbonarsi al proprio giornale locale e a sostenerlo o criticarlo nel caso si ritenga abbia fatto o meno un buon lavoro: “In questo siamo tutti insieme”.
Quasi in risposta a quanto sostenuto dal principale quotidiano di New York, anche il Topeka Capital-Journal ha aderito all’appello per una stampa libera. Il gionale dell’omonima capitale del Kansas era stato uno dei pochi a sostenere Donald Trump nella campagna elettorale del 2016, ma parlando dell’attacco ai media del presidente, oggi ha scritto: “È infame, è distruttivo”. “E deve smettere ora” ha concluso senza mezzi termini. Perché, come ha scritto il Philadelphia Inquirer, “se la stampa non è libera da rappresaglie, punizioni e sospetti, non lo è neanche il Paese”.