Ieri, in Italia, è morto un grandissimo artista, è morto Claudio Lolli. Uno dei cantautori più importanti della storia della canzone d’autore italiana, un macigno. C’è stato un tempo – gli anni Sessanta – in cui la figura del cantautore e della canzone d’autore come genere si sono stabilizzati, si sono plasmati nell’immaginario e si sono fatti riconoscere. Gli anni Settanta sono poi stati il periodo aureo. Claudio Lolli quegli anni Settanta li ha vissuti da protagonista di primissimo piano, in una Bologna che era culla e crogiolo, da enfant prodige di una forma espressiva che appariva rivoluzionaria: colta e orizzontale, estetica e sociale come pochissime altre arti riuscivano a essere.
Con la figura di Claudio Lolli, come con pochissimi altri artisti, in Italia ci si riusciva a riferire a un genere intero, tanto era forte la sua aderenza a questa forma d’arte che si pone nella metà esatta tra poesia e musica e non è né l’una, né l’altra. Non son bravo a scrivere parole di commiato ma, d’altra parte, Claudio Lolli era un gigante e non si può tacere. Mi piace allora ricordarlo con parole che scrissi quand’era ancora vivo; me le chiesero come motivazione di un premio alla carriera, che avrei dovuto consegnargli nella sua casa di Bologna. Per contrattempi e circostanze sfortunate, non riuscii ad andare. Per me, è uno dei più grandi rimpianti.
“Lolli, letterario fino al midollo, con la sua poetica, con i suoi zingari felici, col radar che invitava a disoccupare le strade dai sogni in un controverso 1977, con le ballate intrise di rivisitazioni e citazioni letterarie, ha usato il codice linguistico della canzone da uomo del proprio tempo, sempre cosciente della forza della parola nella musica. Sempre autentico, per di più, in ballate anche amare come Io ti racconto o Morire di leva e molte altre, Lolli è riuscito a non cedere alle sirene pop, che impongono una falsa felicità per sedurre l’industria, quando ancora l’industria discografica c’era ed era forte, potente. Così facendo, il cantautore bolognese è riuscito a preservare un’esclusività d’autore che ha proposto in ogni momento della carriera come proprio modo di fare, indifferente alle necessità mercantili; e lo ha fatto con uno sguardo lucido, rilevando paradossi dei giorni cantati, senza mai piegarsi all’ideologia priva di senso critico, come troppa canzone d’autore faceva”.
Che la terra ti sia lieve, cantautore.