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Claudio Lolli, il cantautore che sognava un mondo migliore

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È morto Claudio Lolli. Molti di voi che leggete non sapete chi è, chi era, Claudio Lolli. E, perdonatemi la protervia, se molti di voi lo avessero conosciuto, questo mondo sarebbe un poco diverso. E, perdonatemi di nuovo la protervia, credo sarebbe un mondo migliore.

Claudio Lolli era un figlio del ’68. Era cresciuto con quelle “parole che dicevano ‘gli uomini son tutti uguali'”. Cito Francesco Guccini ma forse a lui non farebbe (non avrebbe fatto) piacere. Con Guccini c’è stato un rapporto di amore e odio che – almeno fino a sette anni fa, l’ultima e unica volta che ho tradotto nero su bianco un’intervista tra me e il cantautore bolognese – non si è mai sopito. Uno dei punti di rottura fu sicuramente Keaton, una delle canzone più intense apparse sulla bocca di entrambi. E sulla cui paternità si discusse. Eppure quei versi distesi su pentagramma parlavano di entrambi. Di una “provincia come una sconfitta, meno di essere una minoranza dignitosa”, di una “palude certo troppo fitta di voli di zanzare per suonarci qualche cosa”.

Mi sono sempre immaginato Claudio Lolli in quel Keaton (per il quale “Sembrava facile toccarlo con un dito ma il cielo ci ha voluto tutti fermi”), che, a differenza di altri colleghi cantautori, “non faceva soldi, lui, con le canzoni, come me”. Già. Claudio Lolli è stato orgogliosamente professore di liceo. Ormai in pensione, aveva insegnato allo scientifico Leonardo da Vinci di Casalecchio di Reno. E i suoi studenti li ho visti. Accalcati a un concerto, quasi 20 anni fa, nella sala dell’osteria Bentivoglio a Bologna, ad applaudirlo e chiedere canzoni. Ricordo allora una lunga prece per Dalle capre, canzone capace di riassumere in un verso quello che Fabrizio De Andrè nel ’73 espresse nell’album Storia di un impiegato.

Ho parlato di Guccini e De Andrè. Erano suoi contemporanei. Non erano suoi riferimenti, come ho letto in queste ore di veloci coccodrilli. L’Ansa, ad esempio, scrive “Oltre a Guccini, sono De Andrè e i cantautori francesi i suoi riferimenti”. Cazzate. La canzone di Claudio Lolli usciva da un solco letterario ben più lontano. Lo immagino da giovanissimo studiare François Villon, Jean de Béranger, Bertolt Brecht (non a caso uno dei suoi ultimi album si intitola Dalla parte del torto), Samuel Beckett (Aspettando Godot è la sua prima collezione). Lui stesso mi disse del suo debito verso la letteratura americana di Raymond Carver ed Ernest Hemingway (qui forse l’unica distanza emotiva che ho patito rispetto ai suoi gusti), verso la poesia di Vladimir Majakovskij e l’espressione musicale di Leonard Cohen. Poi sicuramente vengono gli chansonniers. Non il Georges Brassens caro a De Andrè, ma lo Jacques Brel che insultava les bourgeois e il Leo Ferrè anarchico con quel “sangue pulito per lavare la sporcizia”.

Lo stesso vale per malintesi epigoni di oggi che scrivono nelle autobiografie artistiche di ispirarsi a Lolli. Gliene parlai. “Mi fan tanto paura queste cose” fu la sua risposta. Non gli faceva invece, non più, paura il crollo del comunismo diffuso tra le masse. Guardava al suo decomporsi culturale in modo distaccato. Nel suo studio fa, faceva, bella mostra di sé una vignetta di Francesco Tullio Altan: la bambina chiede al babbo seduto in poltrona se “non siamo più comunisti”. E lui, senza scomporsi: “No, ma ci rimpiangeremo”. “Penso che sia proprio quello che ci sta succedendo – mi commentò anni fa -, senza con questo voler intendere con comunismo la gabbia di ferro di quegli anni. Abbiamo assistito al rinnegamento di determinati valori che comportavano un altro modello di società”.

Mentre scrivo di getto queste righe, distratte e incomplete data l’emozione della notizia, voglio ricordare una persona che sento tanto vicina. So che mentre scrivo la commozione lo rende muto. Spero di riuscire a parlare per lui. Si chiama Pino Calautti. Da anni si prodiga per mezza Italia per non far dimenticare la canzone d’autore. Non uso maiuscole o minuscole. Esiste solo una canzone d’autore. Quella che fa riflettere. E che, nella migliore delle ipotesi, rende questo mondo migliore. O coltiva chi un giorno renderà questo mondo migliore. Pino vi direbbe di non esser tristi. Vi direbbe di continuare a cercare quel Keaton, “perché stanotte, Keaton, proprio stanotte, (qualcuno avrà) bisogno di sentir(lo) suonare…”.

Claudio Lolli un giorno mi disse: “Io alla mia età non posso far altro che questo, mandare nell’aria con molta ironia note e parole che gettano perplessità nel mondo, con canzoni che per fortuna, o meglio purtroppo, sono ancora molto attuali. Se fossimo in un mondo migliore sarei contento di stare zitto”. Proviamo ad ascoltarlo di nuovo. Chi non l’ha conosciuto provi ad ascoltarlo per la prima volta. Vedrete che prima o poi la sua voce sarà felice di restarsene zitta.

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