Dopo una settimana trascorsa, purtroppo, a passare in rassegna norme e cavilli, regole e eccezioni, il rispetto e l’oltraggio, la fine e il principio dello Stato di diritto, abbiamo finalmente la possibilità di occuparci dello Stato di rovescio. I fatti sono imparagonabili con la tragedia di Genova ma utili ugualmente a capire di che pasta è fatta l’Italia e, per proprietà transitiva, chi la abita.
Da aprile a maggio del 2011 i finanzieri indagano l’enorme emorragia di funzionari del comune di Reggio Calabria a metà mattinata. Un fuggi fuggi verso bar e boutique, strade e edicole, parchi e casali della bellissima città calabrese. Per un mese scattano foto, filmano, descrivono, accertano e infine denunciano gli impiegati facenti parte di quella classe di sfruttati che prende il nome di “furbetti del cartellino”. Diciassette in manette, settantotto a piede libero. Praticamente tutto il Municipio!
I fatti accertati e all’apparenza incontestabili devono però essere validati ed eventualmente sanzionati da un tribunale, perché siamo un Paese civile. Anzi: uno Stato di diritto.
Sicché due anni dopo, anno 2013, il Pubblico ministero chiede il rinvio a giudizio. Il tempo è danaro, ma anche la fatica è immensa, cosicché solo l’anno successivo, 4 dicembre 2014, si celebra l’udienza preliminare davanti al Gup e agli albori del quarto anno (marzo 2015) si firma il decreto che fissa il giudizio per i fatti e le indagini compiute nel 2011.
Il tempo è denaro, e l’abbiamo capito, ma purtroppo i tribunali sono intasati, la fatica resta immensa e un rinvio dopo l’altro sposta il giudizio al 2016, poi al 2017, infine a quest’anno.
In tempo forse per giungere, incrociando le dita, alla prescrizione. Cioè all’assoluzione.